Chissà se i Castro lo inviteranno nella loro villa presidenziale a l’Avana, Ignazio Marino. Chissà se invece si presenterà di sua iniziativa, magari con la fascia tricolore al petto, il sindaco dimissionario che non si vuole dimettere. D’altronde i dubbi che circondano il primo cittadino di Roma ormai si accavallano l’uno all’altro, rendendo immaginabile l’inimmaginabile, credibile l’incredibile. O meglio ancora, come ha detto domenica lo stesso Marino, citando il rivoluzionario Che Guevara: «Siamo realisti, vogliamo l’impossibile».
Quell’impossibile si traduce in un dietrofront sulle dimissioni, come annuncia subito dopo ai suoi sostenitori, giunti domenica in Campdoglio a dare man forte: «Mi chiedete di restare, non vi deluderò». E il piede sulla porta messo da Marino agita, per primi, gli animi del Nazareno. Si affretta a rispondere Matteo Orfini, presidente del Pd e commissario del partito romano affossato da Mafia Capitale, che per l’esperienza del sidnaco genovese vede un solo epilogo possibile: «Se ritira le dimissioni, dobbiamo decidere come chiuderla», spiega. Gli fanno eco i renziani Stefano Esposito e Michele Anzaldi: «Capitolo chiuso», sostengono in coro. E si allinea il gruppo capitolino di consiglieri Pd in una nota, dopo una riunione nella sede di via del Tritone: «Ribadiamo con grande nettezza che il gruppo consiliare e il Partito Democratico sono tutt’uno nel giudicare l’amministrazione Marino». Insomma, sono pronte le dimissioni di massa dei suoi consiglieri. E l’unica strada per il quadro dirigenziale Dem è quella che prevede un dopo-Marino.
Intanto però il chirurgo senza partito, che al medico Guevara avrebbe potuto dare del “collega”, cerca febbrilmente qualche appoggio esterno. Trova la sponda di Sel, che non voterà nessuna mozione di sfiducia in assemblea capitolina contro il sindaco di Roma, «né con il Pd, né con la destra». E rimane in attesa di sviluppi.
Solidarietà da Pier Luigi Bersani, chiamato al telefono domenica proprio da Marino, racconta il Fatto. L’ex segretario avrebbe infatti consigliato il sindaco di Roma di fare «quello che senti». Poi, l’avvertimento: «Caricare questa vicenda di significati politici nazionali non avrebbe senso».
Sul futuro del sindaco, invece, ci scherza su il prefetto Franco Gabrielli: «Chi può dirlo se Marino mangerà il panettone? Avremmo preferito una situazione piu’ tranquilla ma siccome la macchina sta andando avanti ne prendiamo atto. Come ho già detto ognuno è responsabile e valuta le proprie azioni. Io sono nella condizione di dover aspettare. Voi vi aspettereste un giudizio ma non ve lo do», spiega ai cronisti.
La sensazione è che Marino continuerà a mettere bastoni tra le ruote al Pd, di cui non ha più nemmeno la tessera da almeno un anno, finchè gli sarà possibile, anche con una sua lista civica per le prossime amministrative. Che rimanga al suo posto sembra però impossibile. Anzi, “più che impossibile”, tanto per andare oltre le dichiarazioni alla Che Guevara, dal quale – suo malgrado – il sindaco dovrà prendere spunto. Dal governo cubano, finita la rivoluzione, il rivoluzionario decise di allontanarsi per andare a combattere altrove.