«Vorrei, in nome di Cristo, chiedervi perdono per gli scandali che in questi ultimi tempi sono accaduti sia a Roma che in Vaticano. Vi chiedo perdono!». Con queste parole, ma senza fare riferimenti a fatti precisi, il Papa ha iniziato la catechesi dell’udienza generale di oggi, in una piazza San Pietro affollata di circa 30mila persone nonostante le previsioni di maltempo per questa giornata. Dopo le dimissioni di Marino e a dieci giorni dall’inizio del Sinodo sulla famiglia, le polemiche in Vaticano non si placano ma continuano. Nonostante il messaggio iniziale di Papa Francesco che invitava tutti i vescovi alla collaborazione e al confronto (il Sinodo non è un Parlamento), ora a far discutere è una lettera scritta da tredici cardinali, indirizzata a Bergoglio e successivamente pubblicata sul blog del vaticanista Sandro Magister. Scritta in inglese dal cardinale Pellil il documento esprime la preoccupazione “che un sinodo progettato per affrontare una questione pastorale vitale, rafforzare la dignità del matrimonio e della famiglia, possa arrivare a essere dominato dal problema teologico/dottrinale della comunione per i divorziati risposati civilmente”. Dura la reazione di Papa Francesco che secondo fonti ufficiali del Vaticano all’inizio avrebbe dichiarato: “Se le cose stanno così, possono andare via. La Chiesa non ha bisogno di loro”. Poi, smaltita la delusione, Bergoglio invita i firmatari della lettera di non cedere “all’ermeneutica cospirativa”, definendola “sociologicamente più debole” e “teologicamente più divisiva”. Intanto, Angelo Scola, considerato uno dei presunti autori della lettera, è stato il primo a sostenere di non averla mai firmata. Dopo di lui, arrivano le scuse anche dell’arcivescovo di Parigi André Vingt-Trois, Mauro Piacenza e dell’arcivescovo di Budapest Péter Erdö che è anche relatore generale del Sinodo.
Sulla vicenda è intervenuto anche il portavoce del Vaticano, padre Federico Lombardi, che ha considerato la lettera come un “atto di disturbo non inteso dai firmatari, che non deve lasciarci condizionare”.
Carlotta Dessì