Il Senato della Repubblica va in soffitta, almeno per come l’abbiamo sempre conosciuto. Alla fine di un pomeriggio intenso, con le opposizioni sull’Aventino, arriva il via libera alla riforma costituzionale da parte di Palazzo Madama. Schiaccianti, i numeri: 179 sì, 16 no e 7 astenuti. Le opposizioni (M5s, Lega, Forza Italia e Sel), fatta eccezione per i fittiani che votano no, non partecipano allo scrutinio. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi, non presente in aula, esprime la sua soddisfazione con un tweet: “Grazie a chi continua a inseguire il sogno di un’Italia più semplice e più forte: le riforme servono a questo”, rilanciando l’hashtag #lavoltabuona.
Percorso in discesa. Adesso il testo torna alla Camera per la quarta lettura. Prima del referendum confermativo, è necessario un altro passaggio nei due rami del Parlamento, che devono approvare in copia conforme il testo. Il cammino, a questo punto, è però in discesa. Lo scoglio poteva essere rappresentato dalle resistenze dei senatori che – un conflitto d’interessi non di poco conto – dovevano votare per l’abolizione della Camera Alta che occupano. La maggioranza, però, regge bene – unici dissidenti Mineo, Tocci e Casson – rafforzata ulteriormente dai verdiniani, da tre senatrici vicine a Tosi e da due forzisti in dissenso: Bernabò Bocca e Riccardo Villari.
Napolitano contestato. Nel gruppo di Berlusconi, le defezioni iniziano a farsi pesanti e il cavaliere perde la pazienza. Se la prende con Giorgio Napolitano, ribadendo ai suoi “la complicità fra Napolitano e ciò che determinò le mie dimissioni da presidente del Consiglio” nel 2011 e dicendo che – fosse stato per lui – non lo avrebbe fatto neanche parlare. L’ex Capo dello Stato, invece, la parola la prende eccome, mentre dagli scranni dell’opposizione i senatori cinquestelle e quelli del gruppo di Forza Italia si alzano e lasciano l’aula. Esprime soddisfazione per il superamento dei “vizi del bicameralismo paritario, le ripetitività e le non virtuose competizioni tra i due rami del Parlamento”, necessario a “garantire quella stabilità e continuità nell’azione di governo che non può mancare”.
Il nuovo Senato. La trasformazione del Senato in Camera delle autonomie porterà, infatti, a uno snellimento del procedimento legislativo – che consentirà di risparmiare tempo nell’approvazione delle leggi – e darà più forza al governo: spetterà solo alla Camera, infatti, il potere di dargli o togliergli la fiducia. Una trasformazione in chiave presidenzialista, con un potere più saldo nelle mani del premier e dell’esecutivo. Il varo del nuovo Senato sostituisce, inoltre, i 315 senatori eletti con 100, 21 dei quali di saranno sindaci di grandi città e 74 consiglieri regionali. Saranno i cittadini a designarli al momento del voto e non percepiranno nessuna indennità. Il risparmio previsto è di 50 milioni di euro l’anno ma, con l’unificazione degli uffici di Camera e Senato, si potrebbe arrivare anche a mezzo miliardo.
Addio al Cnel. Adesso è ufficiale: il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, previsto dalla Costituzione, chiude i battenti. Un’altra vittoria per Renzi, che dell’abolizione dell’ente aveva fatto un cavallo di battaglia: “Sarà l’antipasto della semplificazione della pubblica amministrazione”, aveva tuonato. “Vorrei sapere – aveva aggiunto – se c’è oggi in Italia qualcuno che pensa che questa istituzione ha risposto all’obiettivo che si erano posti i costituenti”. Difficile dirlo: il tempo, anche in questo caso, sarà galantuomo. I cittadini, intanto, risparmieranno 20 milioni di euro l’anno e – di questi tempi – non è poco.
Nino Fazio