Esce oggi distribuito in 500 copie da 01Distribution “Suburra”, il film tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo (Einaudi). E’ una fotografia che racconta la malavita organizzata di Roma, proprio come l’inchiesta di Mafia Capitale. Il regista Stefano Sollima, noto al pubblico soprattutto per le serie tv “Romanzo criminale” e “Gomorra”, porta così in sala il suo secondo lungometraggio dopo Acab. Nel cast Pierfrancesco Favino, Elio Germano, Alessandro Borghi e Claudio Amendola. Un film corale, ambientato nei giorni dell’apocalisse, ossia quelli di fine novembre 2011 in cui cadde il governo Berlusconi, che mescola cronaca e spettacolo e che racconta una città dominata dalla criminalità e dalla corruzione. E’ il racconto di una città particolare come Roma e del suo legame con il potere dove i politici corrotti non riescono a resistere alle tentazioni della criminalità da basso impero, uomini votati alla speculazione edilizia e che vogliono trasformare Ostia in Las Vegas. Argomento (purtroppo) più che mai attuale.
Insomma quello che mesi fa le indagini su Mafia Capitale hanno portato alla luce era già anticipato nel romanzo, in un certo senso premonitore, “Suburra”. D’altronde come dice il regista: “Il potere criminale si perpetua e non muore mai. Il meccanismo che prelude alla conservazione del potere e la brutalità utile al mantenimento dell’equilibrio non nascono oggi. Sono sempre esistiti e sempre esisteranno”. E dal 2017 ci sarà anche la serie tv (prodotta da Cattleya) sempre dal titolo “Suburra”che esordirà su Netflix. Al centro ovviamente sempre il malaffare politico, economico e criminale.
Nelle sale anche “Much loved”, il film del regista franco-marocchino Nabil Ayouch, che quest’anno è stato proiettato al Festival di Cannes e a al Toronto International Film Festival. E’ la storia di quattro prostitute marocchine, donne che ci conducono nel loro regno notturno fatto di violenza e umiliazioni. Ma anche donne che superano la violenza della società marocchina che, pur condannandole, le sfrutta. E proprio per aver raccontato questo, ora il regista vive sotto scorta, mentre il cast ha subito minacce di morte (uno degli attori è stato addirittura accoltellato). E perché? Perché secondo le autorità di Rabat il film è altamente offensivo verso i valori morali e le donne marocchine e “lesivo per l’immagine del paese”. Insomma il regista ha rappresentato una Marrakech che non vedi nelle cartoline e per questo non è stato distribuito in Marocco. Come dire “Much loved” , ma di sicuro non in patria. Un paese dove la limitazione della libertà di espressione (purtroppo) non è una novità: anche “Taxi Teheran” di Jafar Panahi infatti era stato vietato.
Giulia Lucchini