Ancora montagne russe per i mercati cinesi. La Borsa di Shangai ha chiuso con un rialzo del 2,9%, quella di Shenzen con un +3,8%. Ma la schiarita è breve sui cieli del Sol Levante: i dati della bilancia commerciale pubblicati oggi confermano un calo delle esportazioni del 6,1%, e del 14,3% per le importazioni. Oggi è arrivata anche una piccola correzione sui dati sulla crescita del Pil nel 2014, che scende dal 7,4 al 7,3%; il livello più basso dal 1990.
Nel G-20 di Ankara il governatore della Banca centrale cinese, Zhou Xiaochuan, ha ammesso l’esistenza di una bolla speculativa sul mercato azionario, dicendosi sicuro che i suoi effetti negativi si stanno ormai esaurendo. Intanto le incertezze dei mercati costano care alle casse cinesi: la People’s Bank of China ha dovuto sborsare da febbraio a oggi circa 224 miliardi di dollari per far fronte alla fuga dei capitali e arginare il crollo delle azioni. In agosto la “rata” più cara: 93 miliardi di dollari. In pratica la Banca centrale cinese attinge alle sue riserve di valuta pregiata per comprare yuan. Da qui l’incognita sull’effetto che questa manovra avrà sui titoli di Stato Usa, di cui il Dragone, con una quota pari a 1.271 miliardi di dollari, è il primo detentore. Il quesito principale è quale possa essere l’impatto di una tale operazione sul rendimento dei Bond e sui mercati in generale. Gli analisti aspettano di sapere come reagirà la Fed, che si pronuncerà in seguito alla riunione del Comitato federale del mercato aperto prevista per il 16 e 17 settembre. La possibilità che, per la prima volta dal 2006, vengano alzati i tassi appare sempre più realistica.