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Saul, la tragedia di Alfieri torna in scena al teatro Vascello dopo 35 anni

di Alessandro Testa04 Luglio 2015
04 Luglio 2015
SAUL COMPAGNIA

La compagnia del Loto in “Saul”, di Vittorio Alfieri

Il conflitto tra potere politico e religioso nel regno israelita del 1.000 avanti Cristo, ma anche gli screzi familiari e personali all’interno dell’entourage del re, che, ormai avanti con gli anni, teme di essere spodestato. Tutto questo è Saul, unica tragedia teatrale a sfondo biblico, scritta dall’astigiano Vittorio Alfieri alla fine del Settecento e messa in scena per tre giorni al teatro Vascello dalla compagnia molisana del teatro del Loto (allusione all’Oriente ma anche acronimo di “Libero opificio teatrale occidentale”) dell’attore-regista Stefano Sabelli.

Teatro in versi. Alfieri non è Shakespeare, anche se il testo è molto pregevole e, al pari delle opere del grande Bardo, parla di temi universali. Peccato però che la scelta – filologicamente corretta – di metterlo in scena nella versione originale in endecasillabi renda a tratti difficile la comprensione dei dialoghi e soprattutto conferisca loro un’aura di artificialità.

Nonostante questo, l’operazione di recupero del Saul dopo 35 anni di assenza dai palcoscenici italiani è lodevole e la messa in scena è ben bilanciata. Molto efficace l’allestimento del palcoscenico, con il trono di Israele al centro e tutto intorno una struttura complessa ma povera, tanto esotizzante quanto pratica, che offre la possibilità di entrate/uscite, di piani differenziati ed anche di un punto centrale sopraelevato. Nella finzione si tratta della tenda del sovrano, cuore dell’accampamento di Israele, alla vigilia della battaglia decisiva della terza guerra contro i Filistei, già battuti da Saul in gioventù e poi – grazie alla vittoria di David su Golia – nuovamente sconfitti in età matura.

Politica e religione. In un’ora e mezza assistiamo ai tormenti dell’anziano re, in lotta da tempo con la potente classe sacerdotale, che sospetta – a ragione – abbia già scelto come suo successore l’ex pupillo David, che in cuor suo teme eppure ancora ama, alternando più volte i due sentimenti nel divenire della sua follia. Eppure David non sta affatto tramando per il trono: gli è rimasto suddito fedele, legato anche dalla parentela che ha acquisito dopo averne sposato la figlia Micol, devota ad entrambi. E anche a corte l’ex pastorello unto segretamente dal defunto profeta Samuele non deve guardarsi dal legittimo erede Gionata, che lo ama come un fratello e lo ammira a tal punto da preferire che sia lui un giorno a salire sul trono. Il suo avversario è piuttosto il perfido e zelante Abner, che ha assunto il comando dell’esercito dopo la cacciata di David.

La tragedia finale. La vicenda si sviluppa in due atti con un efficace crescendo di tensione. Peccato soltanto per un finale debole: appresa la notizia della morte in battaglia dei suoi figli maschi il re Saul affida la salvezza di Micol al fido Abner e poi, rimasto solo, si suicida. La scena è però drammatizzata solo a parole: la regia non ci offre nulla (né suoni, né luci) per immedesimarci nell’ansia del sovrano che non vuole cadere vivo in mano ai nemici che, ormai padroni dell’accampamento, avanzano a grandi passi verso la sua tenda. Questo comunque non sminuisce la buona prova offerta dagli attori: Stefano Sabelli (Saul), Giulio Rubinelli (David), la giovane Bianca Mastromonaco (Micol), Fabrizio Russo (Abner) e Pasquale Arteritano (il sommo sacerdote Achimelech). Menzione speciale per un convincente Gregorio De Paola nell’impegnativo ruolo di Gionata. Molto belli anche i costumi e le musiche yiddish eseguite dal vivo dal Trio Miele (i fratelli molisani Angelo, Alessandro e Maria).

Alessandro Testa

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