Per la prima volta nella storia il partito filoislamico del califfo Recep Tayyip Erdogan non è riuscito a formare un governo monocolore, il voto di 53,7 milioni di cittadini ha decretato una sonora sconfitta per il leader del Akp, al governo da 13 anni. Con queste elezioni – dove ha ottenuto il 40,8% – il leader puntava non solo a conquistare, ancora una volta, la maggioranza assoluta, ma anche a superarla. L’obbiettivo era infatti arrivare al 60%, necessario per convocare un referendum sul sistema politico del Paese e coronare il suo sogno: trasformare la Turchia in una Repubblica presidenziale.
Amedeo Ricucci, giornalista del Tg1, esperto di esteri, in questa intervista ha spiegato a cosa è dovuta questa perdita di consensi e quali saranno le possibili conseguenze per il paese. “La perdita di sostegno è dovuta proprio al sogno megalomane di Erdogan, iniziato 13 anni fa quando il suo partito andò al potere. Il leader ha vinto in maniera clamorosa tre elezioni con maggioranza assoluta, questo lo ha portato, probabilmente, ad un “delirio di onnipotenza”. Bisogna ricordare che era già stato messo in discussione due anni fa con le proteste di “Gezi Park” del 2013: le minoranze in Turchia più volte si erano espresse contro il governo e contro le tendenze islamiste. In queste elezioni per la prima volta grazie all’apporto del partito curdo sono riuscite a fermare il sogno del califfo”.
Che importanza assume il successo del partito filo curdo (Hdp) e in che modo ha influito il ruolo dell’elettorato giovanile?
“Queste elezioni sono l’ennesima riprova che l’Islam è perfettamente compatibile con la democrazia: le società civili come quella turca, sono vive e possono opporsi ai fondamentalismi. L’Hdp viene definito “un partito curdo che non è più tale”, il suo leader si era infatti posto in campagna elettorale come leader di tutte le minoranze. E’ così diventato il paladino dei diritti civili, quegli stessi diritti reclamati dai giovani manifestanti di “Gezi Park”. L’elettorato giovanile ha avuto di sicuro un gran peso in questa svolta. Non bisogna dimenticare poi che i curdi, soprattutto nell’ultimo anno e mezzo, si sono trovati di nuovo sotto i riflettori internazionali per l’apporto che stanno dando nella battaglia contro l’Isis. L’hanno fatto in Iraq, in Turchia, a Kobane, attraverso il “Pkk”, il braccio militare dell’Hdp. Questo sicuramente gli ha dato molto più spazio e sostegno elettorale. All’interno delle zone rurali turche, verso il confine siriano e iracheno, Erdogan ha perso consensi a netto vantaggio della causa curda”.
L’Akp si conferma il primo partito, ma dovrà necessariamente formare un governo di minoranza o cercare alleanze. Che scenari si prospettano?
“Un governo di minoranza – sia pur possibile e praticabile – probabilmente non verrà mai accettato dal leader dell’Akp: per ogni provvedimento sarebbe costretto a trovare appoggi esterni in Parlamento. La tentazione potrebbe essere quella di andare alle elezioni anticipate. Contro questa possibilità gioca il fatto che il sistema elettorale turco è fatto in modo da far perdere ai deputati tutti i privilegi – indennità, vitalizi – se la legislatura finisce anticipatamente di un anno o più, e qui siamo perfettamente nei termini. E’ molto probabile che il califfo cercherà una coalizione con il partito nazionalista che ha ottenuto il 16,4% dei voti, con 82 seggi (32 in più del 2011). In questo modo il governo avrebbe sicuramente una maggioranza. Resta il fatto, ed è fondamentale, che il sogno di Erdogan di trasformare la Turchia in una Repubblica presidenziale è fallito per sempre”.
Cecilia Greco