Un altro giornalista italiano rischia di finire in carcere. Si tratta di Antonio Cipriani, ex direttore dei quotidiani free press Epolis, condannato dal tribunale di Oristano a cinque mesi di reclusione per “omesso controllo” su un articolo giudicato offensivo. Manca poco all’inizio dell’esecuzione della pena e il sindacato dei giornalisti, assieme ad alcune associazioni, è al lavoro per scongiurare quella che viene definita una limitazione alla libertà di stampa. Dal 2004 al 2007, Cipriani è stato alla guida di diciotto edizioni locali del circuito: ogni giorno avrebbe dovuto verificare centinaia di articoli scritti da professionisti e pubblicisti. Nel 2011, inoltre, la società editrice è stata dichiarata fallita e l’ex direttore si è trovato da solo a combattere in tutte le sedi contro una serie di querele e richieste di risarcimenti. Trentaquattro cause, un incubo che va avanti da quattro anni e concluso nel peggiore dei modi: la condanna alla prigione che potrà forse essere evitata solo con l’eventuale affidamento in prova ai servizi sociali.
L’osservatorio Ossigeno per l’informazione, diretto da Alberto Spampinato, da anni denuncia l’anomalia che esiste in Italia: nella Costituzione è prevista la libertà d’informazione ma nel codice penale persiste la pena detentiva fino a tre anni per il reato di diffamazione a mezzo stampa. Dal 2011 a oggi sono stati venti i giornalisti condannati al carcere. Tra questi, due sono stati effettivamente arrestati: il settantanovenne Francesco Gangemi, uscito pochi giorni dopo per evidenti motivi d’età, e Alessandro Sallusti, graziato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Lo stesso Spampinato, tuttavia, ha ammesso che il numero potrebbe essere superiore perché ci possono essere casi sfuggiti al monitoraggio dell’osservatorio. Poco meno di tre anni fa, ad esempio, il giornalista Gianluigi Guarino, ex direttore del Corriere di Caserta, ha raccontato al settimanale l’Espresso i suoi 43 giorni nel carcere di Benevento. Anche lui, come Sallusti e Cipriani, non per aver scritto materialmente l’articolo diffamatorio ma per la colpa oggettiva derivante dal non aver bloccato il pezzo.
Il Parlamento italiano è ormai da anni al lavoro per riformare l’istituto della diffamazione e soprattutto per eliminare definitivamente la previsione della pena detentiva, anche per adeguarsi alle sentenze della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo che sul tema ha spesso richiamato i governi nazionali. Circa dieci proposte di legge sono state presentate nel corso di questa legislatura ma solo una di queste è a buon punto nell’iter parlamentare: il testo che ha come primo firmatario Enrico Costa del gruppo Area popolare è in terza lettura alla Camera dei deputati.
Attualmente all’esame della commissione Giustizia, la legge potrebbe andare in aula a Montecitorio entro fine giugno. Ma sebbene la proposta parta dall’abolizione del carcere per i giornalisti, restano comunque tante le questioni sulle quali le forze politiche sono al lavoro per trovare un accordo e soprattutto sono tanti i passaggi che non convincono del tutto l’Ordine dei giornalisti e la Federazione della stampa. L’obbligo di pubblicazione della rettifica “senza replica del giornalista” – ad esempio – o l’estensione ai blogger del reato di diffamazione a mezzo stampa.
Walter Verini, capogruppo del Partito democratico in commissione, è comunque fiducioso e ha assicurato che in maggioranza si sta ragionando attorno a un compromesso che metta d’accordo tutti. Inoltre, l’obiettivo è quello di inserire una norma per evitare che in futuro si ripresentino casi come quelli dell’Unità e di Epolis, con i giornalisti rimasti soli a pagare i risarcimenti in quanto l’editore di fatto non esiste più. L’idea è quella di equiparare i debiti derivanti dalle condanne per diffamazioni alle normali obbligazioni contratte con i cosiddetti “creditori privilegiati” e in questo modo farli rientrare nelle normali procedure fallimentari. Un’ipotesi che tuttavia resta molto difficile da realizzare tecnicamente.
Roberto Rotunno