Resterà altri cinque anni a Downing Street il Primo ministro conservatore David Cameron, che ieri ha vinto nettamente le elezioni per il rinnovo del Parlamento smentendo tutte le previsioni di un pareggio. «Una nazione, un Regno Unito, ecco come spero di governare se sarò abbastanza fortunato da continuare come Primo ministro», ha prontamente twittato Cameron, allegando una foto in cui gioisce insieme alla moglie Samantha.
Trionfa Cameron, Unione europea a rischio. I dati sono ancora parziali, ma grazie al loro 36,8% dei voti i tories dovrebbero aver raggiunto addirittura la maggioranza assoluta alla Camera dei Comuni, con 326-329 seggi su 650. Sventato quindi il pericolo di un governo di minoranza o di coalizione obbligata, all’ora di pranzo sir David sarà ricevuto dalla regina Elisabetta a Buckingham Palace. A questo punto, però, si fa sempre più concreta la possibilità di un referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea entro il 2017, come promesso da Cameron in campagna elettorale. La possibile «Brexit» potrebbe risultare molto più pericolosa dell’interminabile vicenda greca e minare la sopravvivenza stessa dell’Ue. Alcuni analisti non escludono però che proprio l’eventuale rimozione del “freno” britannico potrebbe invece far paradossalmente accelerare il processo di integrazione continentale.
La delusione di Miliband. Nettamente sconfitti i Laburisti del “rosso” Ed Miliband – che ha parlato di «notte difficile e deludente» – di cui in giornata si attendono le dimissioni: i 230-233 seggi ottenuti (30,6% dei voti) sono almeno venticinque in meno rispetto alla batosta che nel 2010 condannò Gordon Brown a lasciare Downing Street e a ritirarsi a vita privata. Il Labour dovrebbe quindi convocare un congresso dopo l’estate per scegliere il nuovo leader: potrebbe tornare in auge il più carismatico fratello David Miliband, già ministro degli Esteri e più vicino alla linea “postsindacale” di Tony Blair, sconfitto cinque anni da Ed in un “derby” fratricida proprio grazie al massiccio appoggio delle Trade Unions.
La Scozia. Chi non trattiene l’entusiasmo per un risultato senza precedenti è lo Scottish National Party, guidato dalla calma e determinata nuova leader Nicola Sturgeon. La formazione autonomista ha infatti sfiorato il “cappotto”, vincendo in 56 seggi su 59 e detiene ora il terzo gruppo parlamentare nel Parlamento britannico. Difficile per ora immaginare un nuovo referendum indipendentista dopo la sconfitta dello scorso settembre – che costò il posto ad Alex Salmond, oggi comprensibilmente euforico – ma si può facilmente immaginare che il tema della devolution resterà nell’agenda politica britannica per tutta la legislatura, come del resto si è affrettato a promettere lo stesso Cameron.
Decimati i Liberali, solo 1 seggio all’Ukip. A pagare il prezzo per il trionfo degli autonomisti scozzesi, oltre ai Laburisti, sono i Liberaldemocratici del vicepremier uscente Nick Clegg: due partiti storicamente molto forti a nord del Vallo di Adriano, e che oggi si ritrovano invece con un solo eletto ciascuno. A livello nazionale l’ex “terzo partito” libdem è oggi ridotto al lumicino, con il 7,7% dei voti e appena 8 seggi: Clegg è stato rieletto, ma proprio questo potrebbe costargli il posto di leader del partito, dato che molti “big” rimasti fuori sono pronti a chiedere la sua testa.
I Liberaldemocratici hanno ceduto la medaglia di bronzo virtuale allo United Kingdom Indipendence Party (Ukip) di Nigel Farage – non eletto nel suo collegio per circa 3mila voti – che però è stato drasticamente penalizzato dal sistema elettorale maggioritario con collegi uninominali: il 12,6% dei voti (quasi il dieci per cento in più rispetto al 2010, migliore performance fra tutti i partiti) si è tradotto infatti in un solo seggio. Alle elezioni europee dello scorso anno, dove si era classificato clamorosamente primo con il 26,6% dei voti, grazie al sistema proporzionale l’Ukip aveva conquistato invece 24 seggi su 73.
Galles e Irlanda del Nord. Il Parlamento britannico riflette la complessità del Regno Unito, costituito da quattro aree ben distinte: detto di Inghilterra – dove Caroline Lucas ha conservato l’unico seggio da deputato dei Verdi – e Scozia, in Galles la situazione si presenta particolarmente stabile: il partito autonomista Plaid Cymru ha mantenuto i suoi 3 seggi e l’unico collegio passato di mano è stato guadagnato dai Conservatori a danno dei libdem.
Più articolata la situazione nei 18 seggi dell’Irlanda del Nord, dove pure avanzano le formazioni unioniste, tradizionalmente vicine a Londra e lontane dall’Europa: primo partito si conferma il Democratic Unionist Party (Dup), radicalmente euroscettico, ma conquista due seggi e torna a Westminster dopo cinque anni di assenza anche l’Ulster Unionist Party (Uup), vicino ai Conservatori. Seconda forza dell’Ulster si conferma con 4 seggi (uno in meno del 2010) la sinistra radicale cattolica del Sinn Fein, già “braccio politico” dell’Irish Republican Army (Ira) ai tempi della guerra civile. Mantengono i loro 3 seggi i Socialdemocratici-Laburisti, che aderiscono al partito socialista europeo, mentre nell’ultimo collegio si è confermato un candidato indipendente.
Alessandro Testa