“Era un volontario generoso ed esperto del mondo della cooperazione allo sviluppo”. Così il ministro degli Esteri, Gentiloni, nell’informativa alla Camera sulla morte del cooperante Giovanni Lo Porto avvenuta tre mesi fa in un raid americano ma resa nota solo ieri. Gentiloni, ha rivendicato l’esercizio della “massima pressione diplomatica sulle autorità locali per fare luce sulla vicenda”. “Posso assicurare – ha aggiunto il titolare della Farnesina – che l’Italia troverà il modo di onorare la memoria di Giovanni Lo Porto”. Memoria che all’aula semivuota – una quarantina i deputati presenti – evidentemente non interessa molto.
L’obiettivo del bombardamento condotto dalla Cia con un drone era una cellula di Al Qaeda, organizzazione terroristica che il 19 gennaio del 2012 aveva rapito Lo Porto, mentre si trovava nel nord del Pakistan per una missione umanitaria. A dare l’annuncio, ieri, il presidente americano Obama, che si è assunto la responsabilità della morte dell’italiano e di quella dell’esperto di sviluppo americano Warren Weinstein: “A nome degli Stati Uniti chiedo scusa a tutte le famiglie coinvolte. Non sapevamo che all’interno del compound ci fossero anche i due ostaggi”. Obama ha dato ordine di rivedere i protocolli seguiti nelle missioni di bombardamento con i droni e – dopo aver assicurato che le famiglie verranno risarcite – ha lanciato un’operazione trasparenza: “Renderemo pubblici tutti i dettagli dell’operazione, perché i familiari devono conoscere la verità, anche se alcuni punti rimarranno segreti”.
Il giorno prima, l’inquilino della Casa Bianca aveva chiamato il premier Renzi per comunicare la notizia. Il presidente del consiglio ha voluto spazzare via qualsiasi dubbio, ribadendo che “è stato un intervento di cui tempo dopo si è capito che non aveva colpito soltanto al Quaeda ma altre due persone, e si è risaliti alla loro identità solo ieri”. Risposta indiretta a quanti – come il capogruppo di Forza Italia Renato Brunetta – avevano denunciato il ritardo di tre mesi con il quale la Casa Bianca ha dato la notizia.
Il trentanovenne palermitano aveva maturato tante esperienze nel campo della cooperazione. Tante le missioni in Centro Africa, una ad Haiti – subito dopo il terremoto del 2010 – due in Pakistan, dove era stato rapito con il collega tedesco Bernd Muehlenbeck, mentre si trovava a Multan, una città di un milione e cinquecento mila abitanti del Punjab, nel nord del Pakistan, al confine con l’Afghanistan. Entrambi lavoravano per la ong tedesca Wel Hunger Hilfe, nell’ambito di un progetto finanziato dall’Ue. Muehlenbeck era stato liberato lo scorso ottobre, ma di Lo Porto non c’erano più notizie. Nell’ottobre 2012 in un video postato sul web, Muehlenbeck chiedeva aiuto per la liberazione sua e dell’italiano, che però non appariva. Con la morte di Lo Porto, restano due gli italiani scomparsi all’estero dei quali non si ha più notizia: il gesuita padre Paolo Dall’Oglio e il medico catanese Ignazio Scaravilli.
Nino Fazio