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PERUGIA1. Giornalisti sul campo, la bella e dura vita del freelance

di Nino Fazio16 Aprile 2015
16 Aprile 2015

Giornalisti sul campo, la bella e dura vita del freelance

“La parola ‘freelance’ significa, prima di tutto, libertà”. È commosso Pierluigi Camilli, una carriera passata in Rai, facendo il “giornalismo istituzionale”, come lo definisce. Nonostante ciò, l’incontro ‘Vita da freelance’ – al Festival internazionale del giornalismo di Perugia – lo riguarda da vicino. Il figlio Simone, infatti, aveva sempre rifiutato di lavorare in una redazione, era un freelance per vocazione. “Mi diceva che per fare questo mestiere come voleva doveva stare per forza sul campo”, ricorda con ammirazione. È morto lo scorso agosto, mentre si trovava per lavoro nel nord della Striscia di Gaza.

In un mercato editoriale sempre più in crisi, dove essere freelance è sempre più un ripiego, c’è chi ne fa una scelta di vita. Valentina Parasecolo, di ‘Vice’, per essere libera di raccontare quello che voleva, ha rinunciato a un contratto in Rai, preferendo una collaborazione annuale col programma ‘Servizio Pubblico’. Ha sperimentato gli effetti negativi di “cambiare vita ogni sei mesi, reinventandosi continuamente”. Ma anche lei non voleva correre il rischio di restare chiusa in redazione. “Per me fare il freelance è continua ricerca – spiega – e non saprei lavorare diversamente”.

Una vita spesso difficile, quella del giornalista indipendente. I mezzi esigui lo rendono poco competitivo con i colleghi che hanno le spalle coperte da una testata. Come se non bastasse, poi, c’è la concorrenza spietata degli attivisti, che – per diffondere un ideale – spesso scrivono anche gratis.

Alessandro Di Maio, giornalista ed esperto di geopolitica, ha deciso cinque anni fa di vivere a Gerusalemme. “Da buon siciliano, avevo una voglia matta di conoscere cosa ci fosse davvero al di là del Mediterraneo”. All’inizio si è scontrato con il silenzio dei giornali italiani, che aveva “battuto a tappeto” alla ricerca di una collaborazione. Proprio quando stava per tornare a casa, ha iniziato a lavorare per un quotidiano canadese. “La retribuzione era bassa – ricorda, sorridendo – ma almeno riuscivo a pagare le bollette, l’affitto della casa, che dividevo con altre sei persone, e a sfamarmi con olive, pane e pomodori”. Grazie agli studi in Scienze politiche, al lavoro giornalistico, da tempo, ha aggiunto quello di analista di geopolitica per un’agenzia locale. “Con i soldi che guadagno – dice – vivo in maniera decente e finanzio i miei viaggi, necessari per continuare a scrivere”. Adesso Di Maio scrive su ‘Libero’ e su ‘Il Fatto Quotidiano’, ma è rimasto pubblicista. “Non ho mai trovato una testata che mi offrisse un contratto di praticantato. E poi – chiosa con amarezza – che senso ha diventare professionista se non riesco a vivere solo di giornalismo?”

Nino Fazio

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