Mentre la Lega Nord tira bordate contro l’arrivo dei migranti, tra i banchi di scuola l’integrazione e la conoscenza di culture diverse è ormai pane quotidiano.
Sono infatti più di 800mila gli alunni con cittadinanza non italiana che ogni mattina varcano i portoni degli istituti scolastici. Un aumento del 16% rispetto allo scorso anno, e quasi del 400%, rispetto al 2001/02.
I dati, diffusi dal rapporto “Alunni con cittadinanza non italiana. Tra difficoltà e successi. Rapporto nazionale 2013/2014”, elaborati da Miur-Fondazione Ismu, confermano un costante e significativo incremento nelle iscrizioni degli alunni stranieri. Opposto, il trend che riguarda gli studenti di origine italiana, sempre meno numerosi nelle scuole a tutti i livelli di insegnamento e, complice forse anche la crisi, diminuiti del 7% negli istituti privati.
Gli studenti però in Italia non sembrano così felici come i loro colleghi nel resto del mondo. La fotografia, scattata dal nuovo focus pubblicato in questi giorni sul rapporto del 2012 dell’Ocse-Pisa (Programme for International Student Assessment), è allarmante. Il sondaggio condotto dall’organizzazione per lo sviluppo con questionari consegnati a campione a ragazzi di quindici anni, rileva come uno studente su quattro non si trovi bene a scuola e non riesca a sviluppare quella relazione positiva con gli insegnanti che contribuirebbe a un apprendimento migliore. Peggio di noi solo Grecia, Russia e Slovacchia.
Il dato più preoccupante rilevato dall’Ocse è quello che vede l’Italia distinguersi in negativo per il divario, nei risultati, tra gli studenti avvantaggiati sotto il profilo socioeconomico e quelli più poveri. Il problema, però, è anche strutturale. Al di là delle condizioni fisiche degli istituti, che tra l’altro verranno rese note dal governo il 22 aprile con la pubblicazione dell’“Anagrafe scolastica”, si rilevano problemi strutturali ben più seri. Solo il 9% delle classi, ad esempio, è connesso a internet. Nei Paesi con i migliori risultati nei test Ocse, questa percentuale supera sempre l’80%. L’Italia, nella classifica europea sulla penetrazione della tecnologia nella scuola e nella formazione degli insegnanti, poi, è agli ultimi posti con Polonia, Romania, Grecia, Ungheria e Slovacchia.
Insomma, «dalla scuola riparte il Paese», twittava Matteo Renzi a inizio anno e in questo 2015, dopo le riforme istituzionali, sembra arrivato il momento di piantare la bandiera del cambiamento sul mondo scolastico, ultimo grande baluardo della sinistra che fu.