Sì a Benjamin Netanyahu, no alla nascita di uno stato palestinese. Gli israeliani hanno deciso così: sono andati in massa alle urne e hanno confermato alla guida del governo il premier uscente, che nelle ultime battute della campagna elettorale si era detto contrario ai due stati. Un risultato a sorpresa, considerando che i primi exit poll – ieri sera – raccontavano di un testa a testa tra il Likud Party di “Bibi” e la coalizione Campo Sionista di Isaac Herzog. La conta finale, che sembra essere definitiva, dice invece che il partito di Netanyahu ottiene 30 seggi della Knesset, il parlamento di Gerusalemme, mentre i rivali del centrosinistra si fermano a 24. Numeri che in ogni caso costringono il premier a cercare il sostegno in assemblea di altre forze politiche.
Pronti al soccorso, dunque, i partiti della destra nazionalista e quelli di ispirazione confessionale: mettendo insieme Kulanu, Casa Ebraica, Shas, Israeli Beitenu e Giudaismo unito della Torah, Netanyahu potrà contare sull’appoggio di una maggioranza di poco meno di 70 parlamentari. Un’ipotesi che garantirebbe la stabilità del governo ma che non piace al presidente israeliano Reuven Rivlin, che al contrario sostiene, vista la difficile situazione economica, la formazione di un’ampia alleanza di unità nazionale anche con l’ingresso del centrosinistra. La legge concede ora sei settimane ai vincitori delle elezioni per formare il nuovo governo: ne basteranno due o al massimo tre, secondo quanto dichiarato questa mattina dallo stesso premier.
Un altro dato interessante emerso dalle urne è il discreto successo della Lista araba che si è aggiudicata 14 seggi: resterà all’opposizione ma non è escluso l’appoggio esterno. In ogni caso, la posizione di Netanyahu sullo stato palestinese e sui territori occupati è stata netta: nulla cambierà e la riconferma del premier potrebbe dare il colpo di grazia ai processi di pace. Almeno, questa è l’opinione dell’Autorità nazionale palestinese: il leader dei negoziatori Saeb Erekat ha ribadito l’intenzione di portare lo stato di Israele di fronte alla giustizia del Tribunale penale internazionale.
Roberto Rotunno