Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è recato questa mattina in via Fani per deporre una corona di fiori nel luogo dove, 37 anni fa, veniva sequestrato il leader della DC Aldo Moro. Dopo alcuni istanti di raccoglimento, il capo dello Stato si è avvicinato, scortato dai corazzieri, ai parenti degli uomini della scorta che vennero trucidati dalle Brigate Rosse. Con loro ha scambiato alcune parole prima di ripartire per il Quirinale, senza rilasciare dichiarazioni. Nell’agguato persero la vita i due carabinieri a bordo dell’auto di Moro (Oreste Leonardi e Domenico Ricci) ed i tre poliziotti che viaggiavano sull’auto di scorta (Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi).
L’ultimo “pellegrinaggio” dal Quirinale a via Fani risale al 2003, quando il presidente era Carlo Azeglio Ciampi e ricorrevano i 25 anni dalla morte di Moro. Mattarella rinnova quindi le consuetudini delle istituzioi, finora presenti solo per commemorare l’epilogo della vicenda, in via Caetani, dove venne ritrovato il corpo dello statista. Il rapporto di Moro con la famiglia Mattarella risale agli anni 30, quando Aldo strinse amicizia con il padre di Sergio e di Piersanti durante il servizio militare. Un legame antico e forte, ribadito da Sergio Mattarella (da alcuni ribattezzato “l’ultimo dei morotei”) in un discorso del 2011 in cui ribadiva la sua forte ammirazione per un politico “disponibile al cambiamento e ad una democrazia inclusiva, ad un futuro che appartiene agli innovatori attenti, seri e senza retorica”.
L’”operazione Fritz”, come le stesse Br denominarono l’agguato di via Fani, segnò l’inizio di un sequestro conclusosi tragicamente dopo 55 giorni di prigionia. Una pagina di storia controversa, con molti nodi che ancora oggi attendono di essere sciolti. Lo ha ricordato anche il presidente della Commissione d’inchiesta sul caso Moro, Giuseppe Fioroni, che ha preso parte alla commemorazione di oggi insieme al presidente del Senato, Pietro Grasso, alla presidente della Camera, Laura Boldrini, al presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, al sindaco di Roma, Ignazio Marino, e al ministro dell’Interno, Angelino Alfano.
Fioroni guarda con ottimismo alla decisione del procuratore di Roma di riaprire le indagini: “Il Paese merita di non pagare più il conto salato di non conoscere la verità. Dopo 37 anni sono più le ombre che le luci sulla vicenda e il prezzo che non possiamo più sopportare è quello di non sapere.” Un nuovo impulso alle indagini potrebbe arrivare dalle nuove evidenze sul ruolo ricoperto dal “Professore”, Giovanni Senzani. Secondo quanto riferito alla commissione parlamentare dal magistrato Tindari Baglione, il ruolo di Senzani nelle Br da “proiettare su Roma, non su Firenze”. Nel capoluogo toscano il “professore” ci abitava, ma non operava. La sua attività era a Roma dove, peraltro, dava consulenze al ministero degli Interni e a quello della Difesa. Ma il dato più sconcertante è che due brigatisti che fecero parte del commando di via Fani, Bonisoli e Gallinari, nel 1977 abitavano in un appartamento messo a disposizione proprio da Senzani. Quest’ultimo avrebbe avuto quindi dei legami con le Br già ai tempi del sequestro, mentre la storia giudiziaria aveva accertato finora i rapporti di Senzani con le Br solo a partire dal 1979. Sulla base di queste novità, evidenziate da Baglione ed ammesse da Gallinari stesso in un suo libro, l’avvocato delle vittime di Via Fani, Valter Biscotti, ha chiesto alla procura di Roma di approfondire il ruolo di Senzani nel sequestro.
Raffaele Sardella