“Il vero obiettivo delle politiche sociali dovrebbe essere la loro abolizione. Già nei piani per la salute e nella costruzione di strutture bisognerebbe tener conto delle esigenze di tutti, compresi i disabili”. Emiliano Monteverde di politiche sociali se ne occupa in prima persona, essendone l’assessore addetto nel Municipio I di Roma Centro.
L’inadeguatezza della Capitale nel venire incontro ai bisogni quotidiani dei disabili, per l’assessore, è in parte legata alla difficoltà di abbattere le barriere architettoniche in un paesaggio storico, dove l’intervento per inserire adeguate strutture subisce più ostacoli in quanto viene visto come deturpazione del patrimonio archeologico. Il problema, ad ogni modo, è anche dovuto a una mancanza di fondi adeguati: “C’è un rapporto di circa uno a dieci tra quanto viene investito sui servizi e quanto arriva di sociale sul territorio attraverso, ad esempio, pensioni d’invalidità e assegni di accompagnamento”. Si aggirerebbe intorno ai 300 milioni la cifra impiegata per i servizi, a fronte di circa 4 miliardi investiti in trasferimenti monetari che giungono direttamente nelle tasche dei cittadini: “Nessuno pensa che si debbano utilizzare questi soldi per far altro. Ma oltre alla necessità di trovare maggiori risorse per intervenire sul territorio, bisognerebbe dare ai cittadini una mano nello spendere queste fondi, istituendo ad esempio albi di badanti, che garantiscano la formazione e la regolarità degli iscritti. Credo sarebbe un servizio di grande innovazione”.
Qualche cambiamento Monteverde sta tentando di attuarlo già nel Municipio di sua competenza, introducendo alcune novità. Oltre all’assistenza domiciliare alle persone disabili, che compete normalmente al suo assessorato, il Municipio I ha avviato, infatti, laboratori, centri di diurni e centri estivi adeguati ad accogliere disabili, seguiti in prima persona, per favorire esperienze collettive e di svago e non limitare l’assistenza a qualcosa che si esplica solo nella solitudine delle mura domestiche. Un altro progetto, poi, è Elisir, che permette ai non udenti di comunicare con gli operatori agli sportelli attraverso dei tablet che traducono in linguaggio Lis la conversazione.
Sono tutti servizi che hanno lo scopo di dare ai disabili autonomia, laddove non si può più avere autosufficienza. La distinzione tra i due termini Raffaella Restaino l’ha scoperta attraverso l’esempio di sua figlia Alessandra, morta per una malformazione vascolare congenita rara, che l’ha costretta per anni sulla sedia a rotelle. La disabilità non le ha impedito di raggiungere i suoi obiettivi, decidendo di lasciare Lavello, il suo paese d’origine in Basilicata, per trasferirsi a Roma, studiare e diventare giornalista. Alessandra teneva alla sua autonomia e con lei la sua università, la Lumsa, ha inaugurato un servizio di taxi per disabili e altri progetti per garantire un diritto allo studio che punta a eliminare il disagio. “Alessandra non era più autosufficiente, non era in grado di badare da sola a se stessa”, ha raccontato la madre, che lotta in nome della figlia per i diritti delle persone disabili con la Fondazione “W Ale Onlus”, “Eppure lei non ha mai rinunciato alla sua autonomia, alla possibilità di gestire la propria vita per realizzare i propri sogni, pur in mancanza di un’indipendenza fisica. Si deve lavorare perché almeno questo venga garantito a tutti”.
Silvia Renda