Dei due, uno era di troppo. Matteo Salvini e Flavio Tosi, adesso, corrono su due binari diversi ma la meta è la stessa, quella presidenza della regione Veneto, diventata il pretesto per un regolamento di conti. Matteo, il segretario nazionale della Lega, ha messo alla porta Flavio, quello della regione Veneto, l’unico rivale che avrebbe davvero potuto insidiare la sua leadership.
Gli scenari immediati sono scontati. Tosi vuole essere protagonista nella corsa alle regionali e – a dire il vero – ha cominciato da tempo le manovre di smarcamento dal partito. Due suoi fedelissimi che siedono in consiglio regionale hanno già lasciato il gruppo della Lega per creare «Impegno per il Veneto», grazie al quale potranno presentare per le prossime elezioni una lista Tosi senza dover raccogliere le firme. Alla nuova lista guarda con interesse il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano, che ha resistito alle sirene del presidente uscente Luca Zaia ed è pronto a far parte di quella “alternativa di centrodestra” di cui parla Tosi. Anche in Parlamento, poi, ci sono almeno 8 – tra deputati e senatori – pronti a lasciare gli scranni della Lega. Se al Senato la mossa non ha un grande impatto, a Montecitorio le defezioni metterebbero a rischio la sopravvivenza del gruppo leghista, che scenderebbe sotto quota 20, rendendo necessaria una specifica autorizzazione dell’Ufficio di presidenza.
La posta in palio va, dunque, oltre la corsa alle regionali, che è stata solo l’acme di una “bega” – come l’ha definita il Carroccio – nata da un’eccessiva autonomia che il sindaco di Verona stava cercando di ritagliarsi. Sotto accusa la Fondazione “Ricostruiamo il Paese” con cui Tosi vuole attrarre i voti dei moderati di centrodestra. Una vera e propria “corrente”, che non è piaciuta a Salvini, che proprio a capo di una corrente ha compiuto la scalata all’interno del partito. La paura di “perire” della stessa spada con cui ha “ferito” Bossi è stata decisiva nell’espulsione del rivale. Il segretario della Lega ha cercato a lungo la strada per “normalizzare” il rivale, chiedendogli di sciogliere la Fondazione e di appoggiare senza sé e senza ma la candidatura di Luca Zaia.
Il rifiuto di Tosi ha avuto come conseguenza il suo allontanamento dal partito, preceduto da un atto di sfiducia, il commissariamento con Giampaolo Dozzo, iscritto alla Lega dal 1983. Poi l’annuncio, affidato a poche parole: “Tosi è fuori dalla Lega. Sono costretto a prendere atto delle sue decisioni”.
Portati entrambi alla ribalta dalle luci degli studi televisivi, i loro sono stati ben presto nomi di rottura con la vecchia classe dirigente. L’ha spuntata Salvini, che – con modi diretti e poco concilianti – si è adattato meglio al momento storico attraversato dal Paese rispetto alla “sobrietà” di Tosi. Troppo stretta, la Lega, per entrambi. Adesso, però, la rottura, come ammette lo stesso dissidente “rischia di danneggiare il centrodestra e favorire il centrosinistra”. La candidata dem Alessandra Moretti guarda alla singolar tenzone con favore, sperando che l’Adige trascini con sé i corpi dei due sfidanti. D’altronde – come recita l’adagio – tra i due litiganti, spesso, è il terzo che gode.
Nino Fazio