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L’intramontabile zavorra italiana. Le grandi opere restano incompiute

di Mario Di Ciommo12 Marzo 2015
12 Marzo 2015

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L’Italia sta tornando a crescere dopo una recessione sanguinosa, peccato che la corsa italica somigli più a una passeggiata che a un allungo. A zavorrare la ripresa del nostro paese sono (anche) le interminabili lungaggini e gli indicibili sprechi legati alla costruzione delle grandi opere (nella foto alcuni operai a lavoro). Questa non è certo una novità ma quando ci si trova di fronte all’incontestabilità dei numeri la realtà diventa allarmante. Se si pensa infatti che sono passati 14 anni dall’approvazione della ‘legge obiettivo’, che stabiliva procedure e modalità di finanziamento per la realizzazione delle grandi infrastrutture strategiche in Italia, e che di quanto stabilito sia stato realizzato solo l’8,4% si può capire la portata e la gravità del problema.

Dei 285 miliardi di opere inserite nel programma, quelle ultimate valgono un investimento da 23,8 miliardi. Il dato però potrebbe essere ancora più catastrofico se si tenessero in considerazione le sole opere approvate dal Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica. Bene, a fronte di un investimento previsto di 149 miliardi, le opere ultimate ne rappresentano solo 6,5, vale a dire appena il 4,3%.

Dati gelidi e inconfutabili, messi nero su bianco durante il nono Rapporto sulla legge obiettivo tenutosi ieri presso la Commissione Ambiente della Camera e curato come ogni anno dal servizio studi della Camera con il Cresme e in collaborazione con l’Autorità di vigilanza dei contratti pubblici, ora Autorità nazionale anticorruzione.

Il mancato cambio di passo è riscontrabile dalle previsioni dell’ottavo Rapporto, quello dello scorso anno, che indicava la conclusione di 54 opere entro la fine del 2014. L’ultimazione entro tale data però è stata confermata per sole 39 opere.

Tasto più che dolente messo in luce dal Rapporto è quello relativo alla lievitazione dei costi. La magia tutta italiana dell’aumento smisurato e puntuale delle commesse per le opere pubbliche ha fatto salire il costo di 97 opere (quelle monitorate per l’analisi) contenute nel programma fin dal 2004 dai 65 miliardi iniziali ai 91 miliardi di oggi, un incremento superiore al 40%.

Altri punti focali della questione sono il recepimento delle direttive dell’Unione Europea e gli scenari dell’innovazione.

Purtroppo per noi il Belpaese appare evidentemente in ritardo su entrambi i fronti. I principali stati membri dell’Unione Europea stanno infatti adeguando i loro ordinamenti alle norme e ai principi della legislazione europea. In Italia il processo è cominciato, ma in maniera particolarmente lenta con un disegno di legge delega che è partito solo a febbraio dopo sei mesi di letargo. Sull’innovazione invece la strada da percorrere è ancora più complicata. Come afferma lo stesso Rapporto i paesi ‘core’ dell’Unione, Germania, Francia e Gran Bretagna, “hanno adottato o stanno adottando, in concomitanza o nell’ambito del recepimento delle direttive, strategie di politica industriale per introdurre o implementare i processi innovativi nelle costruzioni e nelle opere pubbliche”. Sì, perché il rischio, data la lentezza della burocrazia italiana è proprio quello che le opere diventino ‘vecchie’ prima ancora di essere ultimate, che i costi mastodontici sostenuti non ‘valgano la candela’ dando vita a delle opere obsolete in partenza. Una doppia beffa per chi detiene il record di lungaggini ed aumento spropositato dei costi.

Mario Di Ciommo

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