È una propensione naturale al nomadismo quella che spinge molti giovani a varcare la soglia dell’Italia per investire la propria curiosità intellettuale oltreoceano, sulle orme dei progenitori. Il sociologo Domenico De Masi, intervenuto alla Luiss alla presentazione del libro “Addio per sempre? Storie di giovani all’estero” del giornalista Enzo Riboni, parla di “nomadi postmoderni” coniando una terminologia alternativa a quella più ricorrente, “fuga di cervelli”. Una definizione, quella di De Masi, ribadita nella prefazione al volume di Riboni, che racchiude centouno episodi di vite giovanili e di lavoro lontano da casa, sulla base delle testimonianze raccolte per sette anni dal giornalista nella rubrica sul Corriere della Sera. Si tratta di avventure di giovani le cui storie, dalla Cina alla Nuova Zelanda, l’autore ha seguito fino ad oggi, ricontattando i protagonisti, inseguendone il talento, definito da Riboni “un bene mobile per natura che si arricchisce spostandosi”.
Queste esperienze, come ha detto De Masi, “rappresentano altrettante finestre su un mondo nuovo”, ma che ci aiutano anche a riformulare il concetto di emigrazione partendo dall’interpretazione dei dati. “Nel 1912 – ha ricordato il sociologo – su 35milioni di italiani, i nostri progenitori che hanno scelto di lasciare il paese sono stati oltre 600mila (quasi il 2%). Nel 2012 i laureati emigrati all’estero sono stati solo lo 0,5%”. Una percentuale che, secondo De Masi, non costituirebbe un motivo per suscitare allarmismi.
Samantha De Martin