Quando la guerra è alle porte, a sorridere sono soltanto le industrie di armi e negli ultimi mesi a rimpinguare il “carrello della spesa” sono stati soprattutto i paesi del Medio Oriente. Lo dice Italia Oggi che cita il bilancio sugli armamenti 2015 dell’Istituto internazionale di studi strategici: l’Arabia Saudita, su tutte, ha incrementato gli investimenti militari del 43 per cento negli ultimi due anni, spendendo ben 80 miliardi di dollari (circa 70 in euro). Una cifra che permette a Riyad di occupare il terzo posto nella classifica mondiale dei maggiori acquirenti di armi. Al primo posto ci sono gli incontrastabili Stati Uniti che alla difesa hanno destinato 580 miliardi di dollari, segue la Cina con un investimento di 130 miliardi.
Unendo il dato arabo alle cifre registrate nelle altre monarchie del Golfo Persico, ossia gli Emirati Arabi Uniti, l’Oman e il Qatar, si arriva a uno stanziamento totale di 110 miliardi: anche in questo caso l’aumento dal 2012 è del 44 per cento. Le continue minacce e azioni terroristiche dell’Isis e la difficile situazione dell’Iran sono le principali cause della crescita della domanda. E a trarre particolare vantaggio sono i produttori occidentali, penalizzati dai tagli alla spesa pubblica delle altre zone del mondo, i quali hanno una naturale ricaduta anche sugli stanziamenti militari.
I numeri dell’Europa lo confermano: negli ultimi cinque anni solo le nazioni a nord e a sud-est del vecchio continente hanno incrementato le spese in armamenti mentre in tutte le altre zone si registra il segno meno, in particolar modo nei Balcani che hanno ridotto gli investimenti di oltre il 20 per cento nello stesso periodo. A controbilanciare questo declino generale dovuto alla crisi economica, dunque, per ora ci pensano i paesi del Medio Oriente, stati nei quali le sopravvenute esigenze di sicurezza impongono ai regimi di destinare ingenti risorse alla difesa. Nemmeno il calo del prezzo del petrolio ha, fino a questo momento, interrotto il trend. Anche perché non sempre questo rappresenta un problema: proprio la riduzione del costo del carburante può rendere in alcuni casi più conveniente l’acquisto di aerei e navi da guerra.
Roberto Rotunno