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L’ambasciatore italiano in Libia: “La situazione nel paese non è ancora compromessa, ma adesso un intervento militare non garantirebbe la stabilità interna”

di Samantha De Martin24 Febbraio 2015
24 Febbraio 2015

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Nel clima “irredentista” e di “chiamata alle armi” inizialmente ipotizzato dalla comunità internazionale per fronteggiare l’intricata vicenda libica, la stategie più efficaci sembrano intravedere nella diplomazia e nel dialogo politico l’unica valida soluzione a una situazione ormai degenerata sotto le bandiere dei tagliagola dell’Isis che lanciano sfide e terrore all’occidente a bordo dei barconi di migranti, affidando la paura e la minaccia al sangue dei prigionieri.

Ma nonostante la complessità di questo panorama, il cui epilogo è stato la recente chiusura dell’ambasciata a Tripoli con il rientro dei funzionari italiani, “la situazione nel paese non è assolutamente perduta, né compromessa” ha dichiarato l’ambasciatore di Italia in Libia, Giuseppe Buccino, intervenendo al seminario “Crisi in Libia, intervento militare o soluzione politica” all’Istituto Affari Internazionali. “Siamo convinti – ha ribadito il diplomatico – che una soluzione militare non porterebbe affatto a una vittoria in grado di garantire stabilità ala paese, ma determinerebbe piuttosto il moltiplicarsi del terrorismo”.

Soltanto un’intesa tra i due campi libici, il parlamento di Tobruk, internazionalmente riconosciuto, e il congresso di Tripoli, come ha spiegato il diplomatico italiano, potrà essere utile alla lotta contro il terrorismo. “La crisi economica della Libia – ha detto Buccino – registra una situazione di stasi, con una produzione di petrolio passata da 1,6 a 250mila barili, con gli stipendi che non vengono più garantiti e con le imprese paralizzate. Tutto questo determina un rafforzamento delle organizzazioni criminali, di quelle milizie senza ambizione politica ma interessate a un’economia illegale, al traffico di esseri umani, droga e armi”.

A propendere per una risoluzione centrata sul dialogo anche Claudia Gazzini, senior analyst per “Libya, International Crisis Group” che ha definito troppo “precoce” un eventuale intervento militare in Libia. “E’ necessario piuttosto seguire la bandiera delle Nazioni Unite che promuovono il dialogo – ha ribadito la Gazzini -. Parlare di un intervento militare in Libia è difficile perché si tratta di un territorio frammentario in cui compaiono diversi attori locali sui quali non possiamo appoggiarci e l’Isis funge da catalizzatore che può dividere e compromettere la traiettoria di pace e stabilità auspicata dall’intera comunità internazionale”.

Sotto superficie dei due governi rivali si muovono infatti molti attori interni ed esterni. “L’Egitto – ha spigato la Gazzini – sostenendo il parlamento di Tobruk e l’esercito nazionale libico, ha un ruolo di primo piano, perché ha risposto con raid aerei all’uccisione dei 21 copti ed è intervenuto rifornendo una fazione di armi. L’unica soluzione per risolvere la situazione libica è far cessare il flusso di armi per consentire alle fazioni estremiste in entrambe le coalizioni, di sedere a un unico tavolo”.

Dall’omicidio dell’ambasciatore americano nel 2012 che ha reso sempre più complessa la situazione a Bengasi, già sede di episodi terroristici, alla chiusura dei consolati generali, dalla presenza delle due componenti, una vicina alla fratellanza musulmana, l’altra di stampo liberale, alle elezioni del 25 giugno, vinte dalla componente anti-islamista liberale e dichiarate poi illegittime dalla Corte suprema libica, la situazione è andata sempre più precipitando. L’attacco da parte dell’Isis all’hotel Corinthia di Tripoli, a gennaio scorso, è la dimostrazione dell’infiltrazione anche nella capitale delle milizie islamiste. Presenza che rende al momento difficile avere il pieno controllo del territorio.

Samantha De Martin

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