Era iniziata come una falla nel terreno di valori di una risentita vecchia guarda, uscita un po’ ammaccata dal confronto con una spumeggiante carovana di rottamatori, la profonda ferita, divenuta insanabile, all’interno di un Pd sempre più lacerato da continui dissensi interni che minano fortemente la credibilità di una sinistra nel caos. Di scismi ideologici così netti, nelle stanze di uno stesso partito, non se ne vedevano dai tempi del travaglio politico della sinistra socialista degli anni ’60.
La voce più tuonante del dissenso all’interno di un Pd che scalpita contro la ventata di riforme promossa dai giovani motori dell’esecutivo, è quella di un Pierluigi Bersani (nella foto) che, già da parecchio, rivendica la paternità di un partito che non appartiene a Renzi. L’ex segretario del Pd, intervenendo ieri sera a Ballarò, intervistato da Massimo Giannini, si è detto «intransigente sulla legge elettorale», seppur «disposto a ragionare sul premio di maggioranza al partito piuttosto che alla coalizione». «Questo è il mio partito – ha puntualizzato Bersani – se qualcuno mai pensa che debba essere esaurita la sinistra, si ricordi che la sinistra esiste in natura e finché c’è un sentimento di uguale dignità di tutte le persone, la sinistra continua a esistere». Poi, riferendosi al presidente del Consiglio, ha continuato: «Io sono affezionato ad un’idea di sinistra che forse non è quella che ha Renzi, quella della sinistra delle opportunità, una roba degli anni Ottanta che è stata un abbellimento della destra». Un partito basato sull’uguaglianza, che tenga fuori Berlusconi e Verdini, è quello auspicato dal vecchio leader del Pd, una coalizione che respinga la filosofia del “piglia tutto”, idea non buona per il Paese «perché determina un conformismo paludoso con ai margini una radicalizzazione; due cose inservibili per il cambiamento e per le riforme». Critico anche sul Jobs Act, Bersani, che, pur assicurando di votare la fiducia, ha precisato: «Non metto il freno alla riforma, ma era più giusto essere sfidanti anche verso dei sindacati sul cuore del problema che è la flessibilità in azienda, cioè partecipazione e decentramento, non tirare a mano l’articolo 18 che riaccende tutti i fuochi senza portare nessun serio beneficio».
Ad affondare la scure del dissenso sull’operato del governo Renzi anche Gianni Cuperlo che, intervistato da Repubblica, definendo «vecchio» il progetto proposto per il Pd da Matteo Renzi, ha dichiarato: «Renzi ha definito la sua una sinistra delle opportunità. In questo è blairiano, ma per me Blair oggi è Old Labour». Definendo il premier «la parabola dei talenti» Cuperlo accusa Renzi di «voler catturare il consenso ovunque, senza limiti e confini». Rifiutando l’assetto di un Pd che rischia di fondare il proprio potere su una «trasversalità senz’anima», Cuperlo ha tuonato: «Il partito non ha bisogno di tifoserie ma di persone autonome e pensanti».
Pescando nel calderone delle riforme attuate, o solamente annunciate, dall’irrefrenabile vitalismo di Renzi, le vecchie anime del Partito Democratico, storcono il naso e attaccano, inciampando in quell’ostruzionismo che, camuffandosi dietro l’icona di una democratica partecipazione ideologica, ha troppo spesso rappresentato un’offesa alla credibilità dello schieramento, un’arma che ha indebolito tanto il partito quanto il consenso degli elettori Stefano Fassina, intervenendo sul bonus di 80 euro per i bebè escogitato dal governo, si è mostrato scettico. «Non capisco qual è l’idea di giustizia sociale – ha detto Fassina – nel momento in cui diamo 80 euro al mese a chi ha 90mila euro e non diamo nulla a chi vive nella povertà assoluta». Insomma, dopo quel «cascate male» rivolto dal premier alla minoranza del Pd, è come se la vecchia guardia avesse fatto scudo, insieme ai sindacati, stretta nella comune intesa di umiliare le riforme del premier. Intanto, da un sondaggio sulle intenzioni di voto, realizzato dall’istituto Piepoli per Ansa, il Pd guadagna lo 0,5%. E così nell’arena che accoglie lo scontro tra compagni di un partito che, da un esiguo 25%, si trova proiettato oltre il 41, c’è anche spazio per discutere di Leopolda, la quinta convention fiorentina organizzata dal premier che si svolgerà dal 24 al 26 ottobre. «Gli esponenti più accigliati della sinistra – scrive Gianluca Luzi su Repubblica.it – accusano il segretario-premier di voler svuotare il Pd per farne un comitato elettorale, privilegiando la corrente della Leopolda a scapito del resto del partito». Critiche alle quali Renzi aveva risposto ricordando alla sinistra che non esistono “usurpatori”. «E veniteci a questa Leopolda, anche se so che sabato avrete altro da fare» aveva ironizzato Renzi rivolgendosi ai Fassina e ai Cuperlo. Una battuta, quella del Presidente del Consiglio, che guardava alla manifestazione della Cgil che porterà, sabato, a Roma, secondo le speranzose stime di Susanna Camusso,un milione di persone, a protestare contro la riforma del mercato del lavoro e l’abolizione dell’articolo 18 targato Renzi.
Samantha De Martin