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Attentato a Damasco decima i vertici del Regime. Uccisi due ministri e il cognato di Assad

di Fabio Grazzini19 Luglio 2012
19 Luglio 2012

Svolta sanguinosa nel conflitto siriano, dove ieri un attentato devastante, portato contro il cuore stesso del potere costituito, oltre a ferire gravemente un numero imprecisato di alti funzionari, ha provocato la morte del ministro della Difesa, Dawoud Rajiha, del suo vice, Assef Shawkat, cognato del Presidente siriano, e del ministro dell’Interno, Mohamed Ibrahim Al Shaar.
Difficile ancora definire la dinamica dell’esplosione, avvenuta all’interno del quartier generale della sicurezza a Damasco dove era in corso un summit tra i vertici del governo e le massime cariche dei servizi segreti. Bomba o kamikaze, comunque, il fatto che i ribelli si siano potuti così tanto avvicinare a rappresentanti istituzionali è sintomatico di uno sfaldamento sempre più evidente delle forze di sicurezza fedeli al Presidente siriano.

Le rivendicazioni. La potente deflagrazione è stata rivendicata dal Libero esercito siriano (i miliziani ribelli), organizzatori di una detonazione che tra gli altri non ha risparmiato il generale siriano Hassan Turkmani, responsabile della cellula di crisi coordinante le azioni contro i ribelli, subito deceduto, e il capo dei servizi segreti, Hisham Bekhtyar, ferito in maniera grave e trasportato al vicino ospedale Shami, subito circondato e messo in sicurezza dagli uomini della Guardia repubblicana. La paternità della strage è poi stata fatta propria anche da Liwa al-Islam, un gruppo islamista contrario al regime di Assad.

La battaglia di Damasco. Operazione denominata dai ribelli come “Il vulcano di Damasco e il Terremoto della Siria”, quella lanciata lunedì contro le forze armate governative presenti nella Capitale, ha dunque avuto, per il momento, il suo culmine in questo attacco miratissimo alle alte sfere legate al presidente Bashar al-Assad, che il portavoce dei ribelli, Qassim Saadedine, ha così commentato: «Questo è il vulcano di cui abbiamo parlato, e siamo solo all’inizio».
Dopo quattro giorni di scontri sembra allora che i dissidenti si trovino sempre più in una situazione di vantaggio, sia strategico che psicologico. Un avanzamento confermato da Abu Bakr, capo della brigata Abu Omar dell’Esercito siriano libero, il quale ha raccontato alla tv-satellitare al-Arabiya di aver direttamente assistito al ritiro delle truppe fedeli ad Assad dal quartiere di Midan, nella periferia di Damasco, principale teatro della battaglia in corso che sempre più si sta spostando verso il centro cittadino e il Palazzo presidenziale, come confermano alcuni membri della missione Onu presenti in città: «A Damasco nelle ultime quarantott’ore si registra una escalation di violenza che interessa ormai un raggio di quattro chilometri dal quartier generale degli Osservatori delle Nazioni Unite», situato nel pieno centro della Capitale.

Le diserzioni e le minacce del Presidente. E mentre l’Osservatorio siriano sui diritti umani, con sede a Londra, registra la morte di oltre sessanta soldati governativi dall’inizio della battaglia, aumentano sempre più i transfuga del regime. Sono stati infatti due i generali di brigata che hanno attraversato il confine turco nottetempo, portando in questo modo a venti gli ufficiali che hanno preferito abbandonare il Presidente al proprio destino. Una sorte che Assad è convinto di poter ancora direttamente gestire visto che, immediatamente dopo l’esplosione, ha dato ordine di leggere alla televisione statale un comunicato dove è stata espressa grande determinazione nell’«affrontare tutte le forme di terrorismo e a tagliare le mani di chi mette in pericolola Siria: mani prese in prestito da stranieri. Le forze armate sono determinate a finire di uccidere le bande terroristiche e i criminali e a ricercarli ovunque si trovino. Chiunque pensi – ha poi concluso la circolare riferendosi al sanguinoso attentato di Damasco – che colpendo i comandanti può piegarela Siria, si illude». Altrettanto rapida è quindi stata l’elezione del nuovo ministro della Difesa, il generale Fahd al-Furayj.


Fabio Grazzini

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