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Prix Italia: Il futuro del giornalismo parla social. Mario Calabresi: “Non si può lavorare con il vestito del ‘900”

di Samantha De Martin22 Settembre 2014
22 Settembre 2014

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Nella trasformazione epocale che si appresta ad attraversare, alla ricerca di modelli produttivi sostenibili, il giornalismo investe sui social network. È un messaggio chiaro quello che emerge dal convegno “I social media nella newsroom: casi di successo, questioni aperte”, organizzato dall’European Broadcasting Union, nell’ambito dell’appuntamento torinese (giunto alla sessantaseiesima edizione) del Prix Italia, che lascia ben sperare in una proficua apertura da parte dei media al mondo dei social. “Nelle redazioni devono poter entrare anche nuove figure oltre a quelle dei giornalisti tradizionali, che possano interagire con gli utenti” ha detto il direttore de La Stampa, Mario Calabresi, ricordando che il quotidiano torinese è stato il primo giornale italiano a introdurre la figura del social media editor. “Nei media tradizionali si tende a lavorare con il vestito del ‘900, invece oggi il rapporto con i lettori è fondamentale” ha continuato Calabresi, insistendo sull’importanza di un rapporto di scambio e di ascolto tra professionisti e pubblico. Un utilizzo non semplice, quello dei social, dal momento che – come ha sottolineato il responsabile Eurovision media online di Ebu, Michel Mullane, “Su Twitter non basta scrivere qualcosa e aspettare di essere seguiti, ma è necessario coinvolgere le persone, interagire, rispondere”.

Il direttore generale della radio Sr Svezia, Cilla Benko, ha, addirittura, invocato, “un giornalismo 3.0, nel quale i giornalisti capiscano che il pubblico può entrare nel loro lavoro”. “Noi abbiamo pubblicato le linee guida sull’uso dei social sul nostro sito – ha ribadito la Benko – e organizziamo corsi sul corretto utilizzo per i nostri dipendenti affichè i tweet vengano sempre verificati da più fonti”.

 

Samantha De Martin

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