Sfuggito all’arena dello scontro politico che potrebbe portare ad una secessione della “vecchia guardia” del Pd che lo accusa di “scherzare col fuoco” con la verga dell’ultimatum e della propaganda, consegnato il tanto discusso Jobs Act alla via crucis in Senato, il premier Matteo Renzi è volato, ieri, negli Stati Uniti, abbandonando la propria nave ai tempestosi flutti dei sindacati e di una minoranza democratica in subbuglio,che, risorgendo dal cimitero dei rottamati, fa la voce grossa minacciando fratture.
All’indomani dello scontro con i sindacati contrari, insieme con tutta la minoranza del Pd, all’abolizione dell’articolo 18, dopo l’attacco della leader della Cgil, Susanna Camusso, che accusa il premier di “politiche antisindacali” ispirate a Margaret Thatcher, e l’ironia di Rosy Bindi, certa che “Matteo troverà dei giapponesi pronti a combattere”, il viaggio oltreoceano del presidente del Consiglio, più che sul tour americano, accende i riflettori sui venti di guerra che investono il Pd.
“Nel mio partito – ha dichiarato Renzi prima della partenza per gli Stati Uniti – c’è chi ritiene si possa proseguire con un “facite ammuina”, per cui, anche dopo la vittoria alle elezioni europee, non cambia niente e Renzi fa la foglia di fico: sono cascati male, ho preso questi voti per cambiare l’Italia davvero”. Un monito, quello del premier, rivolto ai dissidenti del partito e a quanti tentino di ostacolare l’avanzamento del disegno di legge delega sulle nuove regole dei contratti di lavoro, accompagnato dalla minaccia di un intervento da parte del governo con un decreto legge, qualora il Parlamento dovesse procedere a rilento. E mentre Susanna Camusso minaccia lo sciopero generale, il segretario della Uil, Luigi Angeletti, mette in luce l’incapacità del Jobs Act di cambiare il mercato del lavoro, pur considerandolo “un’ottima idea”. In attesa dell’incontro fra i triunviri dei diritti dei lavoratori, Luigi Angeletti, Raffaele Bonanni e Susanna Camusso, in programma venerdì mattina, il disegno di legge delega è pronto a varcare l’aula del Senato per essere trasferito, una volta approvato, in commissione lavoro alla camera. La riforma, che introduce la novità dei contratti a tutela crescente (via libera ai licenziamenti a fronte di un’indennità economica correlata all’anzianità di servizio), incassa il plauso del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, che paragona l’articolo 18 a un “mantra che in tutto il mondo ci addossano come Paese”. “Parlando in tutto il mondo – ha detto Squinzi ai microfoni di SkyTg24 – ci dicono che in Italia non si può investire, perché c’è l’articolo 18 e quando assumi un dipendente è per la vita”.
È iniziato, così, sotto una cattiva stella il viaggio del premier alla volta di San Francisco, Detroit e New York, con Pierluigi Bersani che non ci sta a farsi definire conservatore e, al Tg1, pur salvando le “buone intenzioni” del Jobs Act, auspica di esser trattato dal premier con lo stesso rispetto riservato a Verdini e a Berlusconi. “Ci sono resistenze, ma l’Italia vuole aprirsi, non chiudersi” ha esordito Renzi nel corso della sua visita, ieri notte, alla Stanford University, promettendo ai protagonisti della Silicon Valley di voler cambiare il Paese. La trasferta statunitense del premier proseguirà oggi con l’incontro con alcuni italiani che hanno avviato una start up in California, con la visita al ceo di Twitter, Dock Costolo, con la visita alla donna-manager che guida Yahoo!, Marissa Mayer.Yahoo e con il confronto con un gruppo di scienziati italiani alla Nasa. La giornata del premier si concluderà a New York dove Renzi parteciperà al vertice delle nazioni Unite sull’ambiente, in programma domani.
Dopo il “sogno” californiano il premier farà rientro in Italia dove la fucìna un po’ inceppata della politica lo vedrà affrontare la direzione del Pd , in merito alla riforma del lavoro. Ed allora lo speranzoso entusiasmo che matura talenti e innovazione nella Silicon Valley sarà molto lontano.
Samantha De Martin