Il Kingdom è ancora United. Il No, pronunciato rigorosamente con accento cockney, ha prevalso e la Scozia rimarrà sotto l’egida di sua maestà la Regina. A prevalere, stando a quanto emerso dai sondaggi provenienti dalla terra d’Albione, il timore per i rischi economici e per l’incertezza politica che l’indipendenza avrebbe potuto comportare.
«Mi avrebbe spezzato il cuore vedervi andar via», questo le prime parole del prime minister britannico David Cameron davanti alle telecamere di tutto il mondo durante la conferenza presso il numero 10 di Downing Street. «La nostra antica democrazia – ha precisato Cameron -, ha saputo affrontare una questione così difficile in modo calmo e pacifico al seggio elettorale». Poi sono seguite le congratulazioni di rito sia ai vincitori, i sostenitori della campagna Better Together e per il Yes Front, sia agli sconfitti, che hanno accettato con onore e orgoglio l’esito negativo delle votazioni. Partita che, però, non avrà un rematch: «Come ha detto Alex Salmond, questa era una scelta che accade una volta nella vita o in una generazione». Il primo referendum fu nel 1979, il secondo nel 2014.
Nonostante la vittoria, il Governo britannico dovrà comunque mantenere le promesse fatte agli scozzesi. Il parlamento e il Governo scozzese avranno più poteri per quanto riguarda le tasse, le spese e il welfare. Lord Smith of Kelvin avrà l’arduo compito di guidare una squadra che dovrà elaborare la DevoMax, una proposta di legge di devoluzione, entro gennaio 2015. E questo varrà anche per gli altri membri del Regno Unito, Inghilterra, Galles e Irlanda del nord: «È assolutamente giusto – ha sottolineato il primo ministro – che il nuovo accordo per la Scozia debba essere accompagnato da altri che valgano per tutte le altre parti del Regno Unito. I diritti di questi elettori devono essere rispettati, difesi e aumentati. È tempo per il nostro Regno Unito di andare avanti».
Nessuna recriminazione e grande prova di democrazia anche da parte di Alex Salmond, il leader indipendentista scozzese: «Accetto il verdetto del popolo e riconosco la sconfitta e invito tutti gli scozzesi a fare altrettanto». Ma dal suo palco di Edimburgo ha ricordato quanto promesso da Londra e l’ha esortata a mantenere la parola data: maggiore autonomia per la Scozia. «Abbiamo visto paura e preoccupazione, abbiamo visto ciò che dal governo britannico nessuno si sarebbe aspettato. Oggi non dobbiamo guardare a quello che non abbiamo, ma dobbiamo andare avanti come una sola nazione». Anche il leader dell’Ukip, Nigel Farage, ha dichiarato che, dopo aver ascoltato la volontà scozzese «è ora che si ascolti anche la voce dell’Inghilterra», augurandosi un maggiore federalismo in un Regno Unito che «in realtà è sempre più frammentato al suo interno».
Esultante, Alistair Darling, leader della campagna Better Together, nel suo primo intervento dopo il risultato del referendum: «Gli scozzesi hanno riaffermato i legami che li uniscono agli inglesi. Facciamo in modo che non si rompano più». Per Darling ha vinto alla fine il «buon senso» degli scozzesi, contrari a un’indipendenza troppo rischiosa. Nel pomeriggio, la regina Elisabetta II rilascerà una dichiarazione scritta sul referendum in Scozia. Secondo i media britannici, si tratterà di un appello alla riconciliazione all’interno del Regno Unito, che, dopo due anni di tensione, non dovrà preoccuparsi di effettuare un restyling della Union Jack.
Renato Paone