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Isis, Obama annuncia alla nazione l’imminente intervento armato per «distruggere» il Califfato Islamico. «Is non è Islam, nessuna religione giustifica l’uccisione di innocenti»

di Federico Capurso11 Settembre 2014
11 Settembre 2014

obama speechCon il discorso tenuto ieri alla nazione – in una data più che significativa perché vigilia dell’anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle – il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha illustrato il piano della Casa Bianca per «scoraggiare e infine distruggere» i jihadisti del nuovo Califfato Islamico nato nel nord dell’Iraq e in Siria.

Lo Stato Islamico «non ha nulla a che fare con l’Islam – ha subito precisato Obama – perché nessuna religione giustifica l’uccisione di innocenti». Senza dimenticare che «numerose delle vittime fatte dall’Isis erano islamiche». Precisazione doverosa, visto lo stadio avanzato delle trattative con l’Arabia Saudita e con altri paesi del Medio Oriente, mirate a ottenere un appoggio strategico di fondamentale importanza nei piani dell’imminente intervento militare.

«Scoveremo i terroristi ovunque questi si nascondano – ha proseguito Obama – e condurremo una campagna sostenuta e sistematica di bombardamenti aerei, senza inviare truppe di terra», come invece era stato nella guerra per far salire al potere Saddam Hussein, e nella successiva guerra volta a farne cadere il regime.

Raid aerei, così come erano già stati annunciati nei giorni scorsi, che saranno poi appoggiati da incursioni militari a terra organizzate dall’esercito del nuovo governo iracheno di Haider al-Abadi, insediatosi – non casualmente – pochi giorni fa, e dai contingenti alleati delle potenze occidentali che prenderanno parte al conflitto.

Gli analisti americani non hanno grande fiducia nella promessa della Casa Bianca di non coinvolgere truppe di terra statunitensi, ricordando come la prima guerra in Iraq, nel 1991, venne inaugurata da un bombardamento aereo ininterrotto che si prolungò per cinque settimane. Poi dovettero intervenire le truppe di terra. Nel 2003, in occasione del ritorno americano sul suolo iracheno, l’amministrazione Bush diede il via a oltre 1000 operazioni militari dell’aeronautica nelle prime 24 ore di conflitto. Ancora una volta, ai bombardamenti seguì una campagna di occupazione e controllo del territorio. Questa volta la questione è diversa: sul suolo iracheno sono già presenti circa 1000 unità di terra americane, e alcune centinaia sono state inviate prima del discorso. Insomma, non verranno “inviate” nuove truppe ma nulla esclude che i soldati già sul campo non possano essere coinvolti.

In Siria invece, così come riferiscono fonti vicine all’amministrazione, la situazione è più delicata. Un intervento di terra sarebbe difficile, a causa della guerra civile ancora in atto e dei rapporti incrinati con il governo Assad. Obama e il suo vice-presidente Joe Biden avrebbero quindi convocato alcuni membri del Congresso affinché vengano introdotti, all’interno di una legge attualmente al vaglio, alcuni emendamenti che possano autorizzare Washington ad inviare armi ai ribelli siriani. Questa guerra però, ha sottolineato Obama, non è una guerra contro uno stato ma «contro una cellula terroristica», in cui i confini politici entrano in secondo piano.

«Ho l’autorità per ingaggiare questo conflitto contro l’Isis» ha concluso Obama, richiamando all’unità di intenti il Congresso che, nei prossimi giorni, dovrà autorizzare il piano di interventi proposto dalla Casa Bianca. L’“autorità” di cui parla Obama proviene da due risoluzioni approvate dallo stesso Congresso, nel 2001 e nel 2002, per combattere Al-Quaeda e il governo talebano in Afghanistan. Risoluzioni che lo scorso anno proprio Obama criticò duramente, proponendone persino il “cestinamento” perché – dichiarò – «rischiano di tirarci dentro altre guerre che non abbiamo il bisogno di combattere».

 Federico Marcello Capurso

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