Quando nella notte tra il 25 e 26 agosto del 1992 la Biblioteca nazionale di Sarajevo veniva distrutta dai bombardamenti dell’esercito serbo, probabilmente in molti avranno pensato che la città stesse per perdere per sempre la sua identità, la sua cultura, la sua memoria. O quantomeno, nessuno dei testimoni di quel disastro poteva pensare che, ventidue anni dopo, qualcuno avrebbe immaginato e sognato che proprio su Sarajevo fosse costruita la nuova Europa. Sarajevo capitale non solo della Bosnia, ma di tutto il vecchio continente. Centro di un’altra Unione europea, da ricostruire proprio come la capitale balcanica, ma metaforicamente, per combattere la sfiducia di molti cittadini e i populismi di molti leader politici. La proposta, provocatoria ma nemmeno troppo, viene da Bernard-Henri Lévy, filosofo e scrittore francese, che a Sarajevo ha ambientato il suo ultimo monologo “Hôtel Europe”. In questi giorni, sta girando il continente e proprio oggi lo spettacolo è in programma alla Fenice di Venezia. Un’occasione insomma per immaginare un’Europa fondata sulla cultura, che riconosca Husserl, Kant e Lévinas tra i suoi padri morali. Che riesca a trovare personaggi politici all’altezza dei suoi lungimiranti fondatori. E che soprattutto apra le porte alla Bosnia: un’araba fenice che, dopo la devastazione di una guerra, è rinata dalle macerie e proprio pochi giorni fa ha inaugurato la ricostruzione della Biblioteca nazionale. La struttura che fu distrutta da un’operazione che di militare aveva ben poco e che puntava in realtà a colpire il cuore di un’identità nazionale abbattendo un luogo di cultura. “La Bosnia – ha detto il filosofo – è un mix di laicità, democrazia e multi etnicità”. Nel centro di Sarajevo, infatti, ci sono luogo di culto cristiano, ebraico e musulmani, uno a pochi passi dall’altro. Una vicinanza che, come rilevato dallo scrittore croato Predrag Matvejević, non esiste in nessuna parte del mondo. Cuore di quei Balcani spesso dimenticati, forse sottovalutati, per Lévy Sarajevo deve diventare un modello per ogni città europea. “Dovrebbe essere – ha proseguito – come la cura per la tubercolosi o le cellule staminali: instilliamo una cellula di Bosnia in ciascuno dei paesi europei minacciati dall’ondata di populismo, sovranismi, fascismi e con quel pezzetto di quel miracolo di civilizzazione ci sarà l’effetto Dolly che crescerà e assorbirà le metastasi”. Dunque, spostando l’asse da Bruxelles a Sarajevo secondo Lévy, l’Europa potrebbe riconoscere la sua natura multiculturale rappresentata perfettamente dalla capitale bosniaca, ponendo la sua attenzione sul tema dei diritti che troppo spesso cedono il passo all’esigenza di stabilità economica. L’Ue potrebbe quindi accogliere altre etnie e, aprendosi alla diversità, potrebbe anche gestire con più coraggio e generosità l’emergenza sbarchi del Mediterraneo.
Roberto Rotunno