Non si ferma l’attacco di Israele contro Hamas. I raid aerei israeliani avrebbero colpito oltre 150 obiettivi nella striscia di Gaza con almeno 25 palestinesi morti e 150 feriti. L’attacco più sanguinoso quello di Khan Yunis, nel nord della Striscia di Gaza: dalle macerie di una casa sono stati estratti i corpi lacerati di donne e bambini. Il bilancio definitivo conterebbe sette morti e 35 feriti.
Sono questi i numeri preoccupanti dell’operazione israeliana “protective edge”, lanciata nella notte di lunedì e simile sempre di più a una guerra. Il braccio armato di Hamas, le brigate Ezzedin al-Qssam, lamenta che «bombardando case di civili, Israele ha varcato ogni linea rossa». Le case colpite, si difende Israele, appartenevano a esponenti di spicco dei guerriglieri. Il confine tra obiettivi miliari e abitazioni civili è, però, molto labile. La casa colpita a Khan Yunis apparterrebbe a un membro della famiglia Kawara che avrebbe legami con il braccio armato di Hamas. Ma l’attacco all’obiettivo non ha risparmiato decine di civili che si trovavano nei pressi dell’abitazione: una strage di innocenti che Israele liquida come «scudi umani», presenze non casuali con l’obiettivo di impedire proprio il bombardamento aereo.
Dalla Striscia di Gaza sono partiti più di 160 missili sul Negev, spesso neutralizzati dal sistema antimissile israeliano “Iron Dome”. I razzi nelle ultime ore hanno colpito anche Gerusalemme e Tel Aviv, confermando la volontà di Hamas di «colpire nuove città» con razzi a raggio più lungo di quelli adoperati finora. AGerusalemme suonano le sirene e a Tel Aviv sono stati aperti i rifugi pubblici antibomba per proteggere la popolazione.
I fondamentalisti arabi provano a dettare le regole per una nuova fragile tregua: la liberazione di uomini e la fine delle interferenze di Israele nel governo di unità nazionale palestinese. Ma è Netanyahu adesso a stabilire le modalità e i tempi del cessate il fuoco: «Abbiamo aspettato e abbiamo dato loro una via d’uscita perché smettessero di colpirci. Adesso saremo noi a decidere quando smettere».
Si affaccia anche l’ipotesi di una invasione di terra da parte delle forze israeliane. Benjamin Netanyahu ha, infatti, richiamato 40mila riservisti che sostituiranno i soldati impegnati in Cisgiordania, spostati sul fronte sud, dove i palestinesi destano qualche preoccupazione. Sebbene in otto anni di governo il premier non abbia mai disposto un’invasione di terra, negli scorsi giorni ha, però, assicurato che «non tratteremo più Hamas con i guanti». Che l’ora del regolamento dei conti con Hamas sia giunta? A frenare Israele, però, c’è una motivazione di Realpolitik: tolto di mezzo il gruppo terroristico, si aprirebbe, infatti, lo spazio per nuovi gruppi ancora più estremisti e quindi più pericolosi e difficili da combattere.
La situazione nei quartieri arabi di Gerusalemme, intanto, sta lentamente ritornando alla normalità, dopo i disordini seguiti al ritrovamento del corpo del sedicenne Abu Khudair, rapito e bruciato vivo da estremisti israeliani, che volevano vendicare i tre ragazzi ebrei uccisi in Cisgiordania.
E mentre il presidente palestinese Abu Mazen, come rivelato dal quotidiano al-Ayyam – invoca l’intervento della diplomazia internazionale per scongiurare lo sterminio di un popolo che non ha esercito, anche la Giordania, firmataria di un patto di pace con Israele, prende posizione, condannando «l’aggressione militare che Israele ha lanciato nella Striscia di Gaza».
Nino Fazio