Di centouno migranti stipati sul gommone naufragato nei giorni scorsi nel Canale di Sicilia ne sono arrivati solo ventisette. Mancano quindi ben 74 all’appello del gruppo di profughi condotti in salvo due giorni fa a Catania. Dispersi, come ha testimoniato un profugo: “Non c’eravamo solo noi su quel gommone. Da Al Zwara siamo partiti in centouno, gli altri sono caduti in mare, sono affogati, e quando ci hanno salvati erano già scomparsi tra le onde”. E’ l’ennesima tragedia in mare.
E i bilanci, purtroppo, si aggravano sempre di più: la conta dei morti nel peschereccio a Pozzallo dove erano stipate 611 persone sale a 45. Sul barcone della morte in molti sono asfissiati, stretti stretti e ammonticchiati l’uno sull’altro in una ghiacciaia di tre metri per tre. Un viaggio durato 36 ore durante le quali i profughi non hanno mai ricevuto né acqua né cibo e sono rimasti stipati in uno spazio angusto, che è diventato un inferno di monossido di carbonio. “Tutti giovani, tutti uomini, verosimilmente di maggiore età, provenienti dal Nord d’Africa”, hanno detto i medici e gli investigatori che hanno trovato i corpi, recuperati con grande difficoltà dai pompieri solo alle 5.30 di ieri, in stato di decomposizione per il caldo e per il tempo trascorso. I medici legali hanno poi iniziato l’esame dei corpi, procedendo con i riconoscimenti da parte dei parenti e catalogando i volti senza nome in un database del dna.
E in un altro viaggio della speranza hanno perso la vita altre sei persone, morte per disidratazione (due siriani) o per aver tentato la fuga in mare (un marocchino e tre subsahariani) nel folle tentativo di raggiungere un’altra nave che incrociava poco distante . Mentre i loro 215 compagni di viaggio sono stati salvati poche ore dopo dal mercantile “Asso” e sono sbarcati ieri mattina a Porto Empedocle. Solo nell’ultimo weekend si contano quindi 125 vittime. Il bilancio dei morti nel Mediterraneo è sempre più drammatico.
Giulia Lucchini