Nella notte di ieri l’aviazione israeliana ha compiuto dei raid sulla striscia di Gaza, colpendo 34 obiettivi collegati ad Hamas. Nella zona sono state inoltre dislocate cinque batterie di missili Iron-Dome per intercettare eventuali razzi che potrebbero colpire le colonie per ritorsione.
Questo l’ultimo passaggio di una tensione che continua a salire all’indomani del ritrovamento dei corpi di tre ragazzi israeliani rapiti lo scorso 12 giugno in Cisgiordania. La scomparsa dei tre giovani seminaristi ha provocato un crescendo di tensioni tra coloni e popolazione araba che in questi giorni rischia di degenerare in un conflitto aperto.
Per la ricerca di Eyal (19 anni), Gilad (16) e Naftali (16) era stata avviata una vasta operazione militare – battezzata “Brother’s Keeper”- con il coinvolgimento di migliaia di soldati israeliani. Durante le operazioni erano stati uccisi cinque palestinesi e arrestati oltre 500, smantellate molte istituzioni di Hamas e moltiplicati i check point nei Territori palestinesi. In seguito al ritrovamento dei tre seminaristi il governo israeliano ha convocato una riunione di emergenza nella quale si è deciso di adottare una linea dura contro le azioni terroristiche imputate ad Hamas: “Hamas pagherà”, ha assicurato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, al quale ha fatto eco il viceministro della difesa Danu Danon: “La fine tragica dei tre ragazzi deve essere anche la fine di Hamas”.
Il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri, ha respinto la responsabilità della sua organizzazione per l’assassinio dei tre ragazzi israeliani e ha messo in guardia Netanyahu contro altri attacchi alla Striscia di Gaza: “Se scatenerà la guerra, per lui si apriranno le porte dell’Inferno”.
A meno di un mese dall’incontro tra il presidente israeliano Shimon Peres e quello palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), avvenuto in Vaticano grazie alla mediazione di Papa Francesco, gli spazi per i negoziati si sono ridotti terribilmente. Il rapimento e l’uccisione dei tre ragazzi è avvenuta solo 4 giorni dopo l’incontro storico tra i due leader, al quale il mondo aveva guardato con speranza ed ottimismo per una nuova fase di trattative. Per arrestare l’escalation degli scontri in Israele sarebbe necessario un forte sforzo diplomatico della comunità internazionale, ma le priorità degli Stati Uniti e dell’Unione europea attualmente sembrano essere le proprie crisi interne. I fallimenti occidentali nello spegnere i conflitti in Siria, Ucraina e in Iraq fanno pensare che difficilmente le tensioni in Israele potranno essere risolte grazie agli sforzi internazionali.
Raffaele Sardella