«But baxt ta sastipè!(Buona salute e fortuna a tutti!)», ha esordito così Santino Spinelli, docente di lingua e cultura romanì presso l’università di Chieti al corso su media e rom tenutosi alla Lumsa. «I romanì sono un popolo che ha sofferto tanto – ha detto Spinelli – hanno una storia che merita di essere ricordata». L’evento è stato introdotto da Gennaro Iasevoli direttore scientifico e Cesare Protettì direttore professionale del Master di giornalismo della Lumsa che hanno ricordato come «l’università sia sempre attenta a temi importanti come questo».
La storia. Il popolo romanì risiedeva nell’anno mille tra India e Pakistan, prima di essere deportato dall’imperatore persiano Mohamed Gazhi. Dopo secoli di schiavitù tra Persia, Armenia e impero bizantino, i rom hanno iniziato a vagare per tutta Europa dove si sono stanziati in quartieri ai margini dei centri abitati. In Romania si è stabilità la più grande comunità che viene ridotta nuovamente in schiavitù fino al 1872. Qui i rom vengono chiamati zingari perché confusi con gli athingani, popolo di altre origini che praticava la magia nera. «Rom sta a zingaro come italiano sta a mafioso» ha tenuto a precisare Spinelli nella sua spiegazione.
I Romanì in Italia. In Italia i Romanì si sono stanziati già nel 1400, soprattutto in Abruzzo e Molise. Nella Repubblica di Venezia venivano denigrati e ucciderli non rappresentava un reato. In Italia ci sono oggi 170mila romanì divisi in due gruppi: i sinti presenti soprattutto nel nord Italia e i rom nel sud.
Diverse comunità. I romanì si dividono in cinque comunità: oltre ai già citati rom e sinti, kalè, mansuches, romanichals. Diverso è il discorso per i caminanti che appartengono a un’altra etnia e spesso si confondono con i romanì.
La due giorni lumsiana si chiude domani con gli interventi della Professoressa Donatella Pacelli, docente Lumsa di scienze politiche e sociologia e la dottoressa Monica Rossi ricercatrice presso il Consiglio Nazionale Ricerche.
Domenico Cappelleri