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Abu Mazen e Shimon Peres dal Papa, «l’inizio di un cammino nuovo alla ricerca di ciò che unisce». Un albero di ulivo per ricordare lo storico incontro

di Nino Fazio09 Giugno 2014
09 Giugno 2014

Abu Mazen e Shimon Peres dal Papa, «l’inizio di un cammino nuovo alla ricerca di ciò che unisce»

Il leader israeliano Shimon Peres e il presidente palestinese Abu Mazen si sono parlati in un faccia a faccia cordiale e carico di speranze. L’incontro che non ti aspetti è stato combinato, manco a dirlo, da papa Francesco, l’uomo delle sorprese e delle “prime volte”. Ci aveva provato già nella sua visita in Terra Santa dello scorso 24-26 maggio: le resistenze, però, erano state troppe e nessuno dei due leader aveva voluto pregare a casa dell’altro. «Offro la mia casa in Vaticano per ospitare questo incontro» propose allora il pontefice, in quello che sembrava uno dei tanti appelli al dialogo nella questione mediorientale. A sorpresa, i due nemici hanno accettato di guardarsi negli occhi in territorio neutro e pregare a modo loro, ognuno con la propria confessione, per la pace.

Il primo a varcare l’ingresso del Perugino (che da via della Stazione Vaticana collega il territorio italiano allo Stato del Vaticano), nel caldo pomeriggio domenicale, è Shimon Peres, col quale il Papa intrattiene un colloquio riservato presso la domus Santa Marta. Subito dopo è la volta del presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen: anche con lui papa Francesco ha un momento privato di dialogo. Alla fine l’abbraccio e i baci tra i due leader, sotto lo sguardo benevolo del pontefice. Presenti anche il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, e il custode di Terra Santa, il francescano Pierbattista Pizzaballa.

Un pulmino bianco conduce l’insolita brigata nei giardini vaticani, nel triangolo tra i Musei vaticani e la Casina Pio IV. Qui ha luogo la preghiera interreligiosa, tre momenti diversi che vedono rispettivamente protagoniste la fede ebraica, quella cristiana e quella musulmana, in rigoroso ordine di nascita. Infine i due leader religiosi e i due presidenti – vanga alla mano – piantano un ulivo, simbolo di pace e dell’impegno reale per raggiungerla.

Papa Bergoglio pone da subito l’accento sulle finalità dell’incontro, «l’inizio di un cammino nuovo alla ricerca di ciò che unisce, per superare ciò che divide». Parla anche di pace, Francesco, pace per la quale «ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza».

Anche i due nemici storici – oggi al Quirinale da Giorgio Napolitano – ognuno col proprio stile, parlano di pace: «Noi desideriamo la pace, per noi e per i nostri vicini» dice il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen. «Una pace comprensiva e giusta al nostro Paese e alla regione, cosicché il nostro popolo e i popoli del Medio Oriente possano godere il frutto della pace, della stabilità e della coesistenza». Discorso che si conclude con la richiesta  e l’auspicio «di rendere la Palestina e Gerusalemme in particolare una terra sicura per tutti i credenti e un luogo di preghiera e di culto per i seguaci delle tre religioni monoteistiche: Ebraismo, Cristianesimo, Islam».

Shimon Peres si affida al Pontefice, investendolo del ruolo di interlocutore privilegiato e mediatore carismatico: «Durante la sua storica visita alla Terra Santa – dice al Papa – lei ci ha toccato con il calore del suo cuore, la sincerità delle sue intenzioni, la sua modestia, la sua gentilezza. Lei ha toccato i cuori della gente, indipendentemente dalla sua fede e nazionalità. Lei si è presentato come un costruttore di ponti di fratellanza e di pace. Noi tutti abbiamo bisogno dell’ispirazione che accompagna il suo carattere e il suo cammino».

Se – come ha precisato il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi – «non scoppierà la pace da un giorno all’altro», è pur vero che i simboli hanno una loro importanza. Certamente nessuna preghiera potrà mai da sola far tacere le armi. L’aver spinto, però, due avversari a guardarsi negli occhi, a stringersi la mano, abbracciandosi, può rappresentare un ulteriore passo nella strada polverosa e accidentata per la pace. L’esortazione finale di Peres – «Quando ero ragazzo, a 9 anni, mi ricordo la guerra. Mai più, mai più!» – lascia ben sperare.

Nino Fazio

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