Rifugio Panarotta, cronoscalata del Monte Grappa e Zoncolan: tre giorni e tre salite infernali prima della passerella finale di domenica (che quest’anno si svolgerà a Trieste per celebrare il centenario della Grande Guerra ed i 60 anni dal ritorno della sovranità tricolore nel 1954). Questo il programma del rush finale del Giro d’Italia, dove non accennano a spegnersi le polemiche dopo la tappa dello Stelvio, vinta martedì dal colombiano Nairo Quintana, favorito da un equivoco di massa sulle decisioni e le comunicazioni di direttore, giuria e radiocorsa.
Respinti tutti i ricorsi. La tappa di ieri, di alleggerimento, è stata vinta per distacco dal 27enne Stefano Pirazzi, ma tutti guardavano in realtà ai ricorsi e alle mosse delle squadre avversarie della Movistar, che non hanno digerito quanto accaduto martedì. Un conciliabolo di tutti i direttori sportivi si è tenuto “d’urgenza” in un cortile prima della partenza, ma direttore e giuria sono rimasti fermi sulle proprie posizioni, respingendo in giornata tutti i ricorsi.
La discesa della discordia. Ricostruiamo i fatti. Martedì scorso la tappa Ponte di Legno-Val Martello si arrampica fino ai 2.757 metri di altitudine dello Stelvio, Cima Coppi di questa edizione. Come spesso accade a maggio, in quota nevica e la visibilità è scarsa, ma appena ridiscesi le condizioni migliorano rapidamente. Il direttore di corsa, Mauro Vegni, pensa quindi per un attimo di far terminare in anticipo la corsa sullo Stelvio, ma poi decide per una soluzione meno traumatica: corsa regolare, ma motociclisti con bandiere rosse schierati sui primi tornanti in discesa per migliorarne la visibilità. Nient’altro. Mentre molti corridori rimangono prudentemente e disciplinatamente alle spalle delle moto, Quintana attacca e va in fuga guadagnando due minuti, che oltre alla vittoria di tappa gli fruttano la maglia rosa, strappata al connazionale Rigoberto Uran.
L’equivoco. Il problema è che nella prassi del ciclismo, le bandiere rosse dalle moto durante le discese pericolose vengono generalmente utilizzate come la “safety-car” nella formula 1: neutralizzazione di parte della corsa e divieto di sorpasso, con i distacchi maturati in cima alla salita utilizzati per far poi ripartire i corridori a scaglioni una volta ripristinate le normali condizioni di sicurezza (in base alla regola 2.2.029 dell’Unione ciclistica mondiale). Invece né la giuria, né radiocorsa martedì hanno fatto un simile annuncio, considerando in pratica quei primi tornanti alla stregua di un semplice ponte stretto o di una buca pericolosa sull’asfalto da segnalare. Tutto ciò era perfettamente in linea con il regolamento, ma certamente avrebbe potuto essere spiegato meglio, se così tanti corridori – compresi i migliori – sono stati tratti involontariamente in inganno.
Il Giro lo fa la strada. Il vantaggio di Quintana è comunque appena di 1’.41” su Uran e di 3’21” sull’australiano Cadel Evans, terzo. Saranno dunque le terribili salite finali del Giro a decidere chi salirà sul gradino più alto del podio di piazza Unità d’Italia. Quintana sa bene che «tutte le altre squadre faranno una coalizione» contro di lui, ma non sembra spaventato: «Le polemiche di questi giorni mi fanno ridere: non ho fatto la discesa in auto, ma in bici come tutti, prendendo la stessa pioggia e la stessa neve». Anzi, prova a rilanciare: «Le prossime tappe di montagna mi si addicono. Dato che ho la maglia rosa tocca agli altri attaccare, ma anch’io ho degli amici nel gruppo su cui contare ed in più ho una squadra forte e completa, perciò cercherò non solo di difendermi, ma di aumentare ancora il mio distacco per continuare a dimostrare di valere la maglia rosa che ho conquistato sul campo».
Di Alessandro Testa