Non è ancora giunta una rivendicazione ufficiale, ma non sembrano esserci molti dubbi sulla mano del gruppo islamista radicale Boko Haram dietro all’attentato nel centro della città di Jos, nello stato nigeriano di Plateau, che ieri ha ucciso oltre duecento persone, tra cui moltissime donne, ferendone almeno altrettante.
La matrice di Boko Haram. Una prima serie di bombe – due secondo le autorità, tre per la CNN – sarebbe esplosa nei pressi di una stazione di taxi, forse utilizzando anche un minibus oppure un camion. Secondo uno schema tipico delle organizzazioni terroristiche mediorientali, venti minuti più tardi è esploso un ultimo ordigno, che ha investito in pieno soccorritori e curiosi: «I cadaveri sono carbonizzati: sarà difficile riuscire a identificarli», ha raccontato un testimone. «Si tratta di un episodio gravissimo, ma non imputabile ai conflitti etnico-religiosi tra pastori cristiani e musulmani che attanagliano la regione da decenni», secondo Lionello Fani, un cooperante della ong ‘Apurimac’, che è stato intervistato dall’Ansa, «tant’è che le autorità religiose locali stanno mediando per prevenire altre violenze».
Le duecento ragazze rapite. La città di Jos era già stata più volte obiettivo di Boko Haram fino a due anni fa, poi aveva goduto di una relativa tregua, interrotta bruscamente ieri. Con questo attentato salgono a mille le vittime del terrorismo in Nigeria dall’inizio dell’anno, senza contare il caso delle 223 studentesse cristiane rapite un mese fa e costrette a forza a convertirsi all’Islam in attesa di matrimoni forzati oppure di essere vendute come schiave. Nonostante la promessa del gruppo islamista di «liberarne la metà» e la grande mobilitazione internazionale ed interna, di loro non c’è ancora alcuna traccia.
Di Alessandro Testa