Fassino batte Delrio su tutta la linea. E’ questa in sintesi la chiave di lettura dell’esito dello scontro – tutto interno al Pd – sulla Tasi, la nuova imposta comunale sui servizi indivisibili (strade, parchi, ecc.). Nonostante i segnali opposti fatti filtrare in precedenza, il governo Renzi ha infatti deciso ieri di accogliere le richieste dell’Associazione nazionale comuni italiani (Anci): la prima rata della Tasi si pagherà regolarmente entro il 16 giugno nei soli Comuni che avranno stabilito l’aliquota (e le detrazioni) entro la scadenza di venerdì prossimo; in tutti gli altri sarà invece rimandata al 16 settembre.
Smentite le indiscrezioni. Smentite dunque tutte le ipotesi della vigilia: scartata la possibilità di rinviare la scadenza indistintamente per tutti, oppure nei soli Comuni – quattromila su ottomila – dove i Consigli sono stati sciolti oltre un mese fa, in vista delle elezioni del 25 maggio. Esclusa anche l’applicazione rigida della normativa vigente, risalente al governo Letta, che imporrebbe il rinvio automatico del pagamento dell’imposta a dicembre, quando scadrà la seconda rata.
Chi metterà i soldi? Rimane il dubbio su cosa accadrà delle disgraziate casse comunali: il presidente dell’Anci (e sindaco di Torino) Piero Fassino si dice infatti convinto che il rinvio per le amministrazioni ritardatarie sia «la soluzione migliore» e che il Governo cederà anche sulla seconda richiesta, anticipando ai Comuni i soldi mancanti. Non la pensano così invece molti commentatori, che stigmatizzano il fatto che ciò finirebbe per premiare – contro ogni logica, a cominciare da quella del federalismo e di un sano principio di sussidiarietà – proprio le circa tremila amministrazioni perfettamente in carica ed inadempienti per semplice inefficienza: i loro sindaci si vedrebbero infatti rimpinguare le casse direttamente dal Governo, senza bisogno per ora di dover chiedere i soldi ai cittadini.
In attesa del decreto. Rimane quindi aperto un margine di incertezza tutt’altro che marginale, e non è detto che la trattativa non si riapra nei prossimi giorni, durante i quali Palazzo Chigi ed il ministero dell’Economia metteranno a punto la bozza del necessario decreto legge, che dovrà poi essere convertito dal Parlamento. Con la speranza che la Tasi non si trasformi nell’ennesima “soap opera di politica fiscale”, sulle orme delle antenate Imu e “mini-Imu”.
Di Alessandro Testa