Sono 270 le studentesse nigeriane di età fra i 15 e i 18 anni, rapite il 14 aprile scorso dagli alloggi del collegio di Chibook nello stato nord orientale di Borno. Il rapimento è stato svolto con l’intenzione di mettere le ragazze all’asta come schiave o forzarle al matrimonio per mettere fine alla cultura occidentale. I colpevoli sono gli uomini di Boko Haram, un movimento nato nel 2002 che opera nella zona del Camerun e considerato terrorista a livello mondiale dagli Stati Uniti.
La confessione. Amina e Thabita sono due delle 40 studentesse che sono riuscite a scappare grazie a un guasto del camion su cui erano a bordo. Il loro racconto ci porta in una zona ai confini con il Camerun e il Ciad, dove, alcune di loro sarebbero già state vendute al prezzo di 2 mila naira ciascuna, equivalente a 10 euro. Una quarantina di ragazze sono riuscite a liberarsi, ma ancora più di 200 mancano all’appello.
La preoccupazione del governo. “Il nostro Paese è sottoposto a una grande prova, molto dolorosa”, ha detto Ebele Jonathan, presidente della Nigeria, che ha chiesto la collaborazione delle forze di sicurezza per il rilascio delle ragazze. Poi si è rivolto al presidente degli Usa Barack Obama per risolvere l’emergenza sicurezza.. “Parliamo a tutti i Paesi che speriamo ci aiutino, e gli Stati Uniti sono i primi. Ho già parlato due volte con il presidente Obama per risolvere i nostri problemi”, ha aggiunto, citando anche Francia, Regno Unito e Cina.
La marcia. Circa un milione di donne nigeriane, vestite di rosso, marceranno domani per le strade di Abuja per chiedere la liberazione delle liceali rapite . L’iniziativa è stata organizzata dalla moglie del governatore del Borno, Hajiya Nana Kashim Shettima. Alla marcia parteciperanno anche numerose associazioni locali di donne musulmane e cristiane. Secondo le voci circolate le giovanisarebbero ancora nella foresta di Sambisa, vicino al confine con il Camerun.
Anche sul web è partita la solidarietà per le studentesse sequestrate: L’hashtag usato su Facebook e Twitter è “Bring Back Our Girls” (Portate indietro le nostre ragazze).
Carlotta Dessì