Basta politici che lanciano promesse mirabolanti senza che nessuno si occupi mai di verificarle. A rigore dovrebbe essere già implicito nella professione, ma da qualche tempo l’ultima frontiera del giornalismo watch-dog si chiama fact-checking, e consiste in una verifica analitica e indipendente di quanto affermato da candidati e governanti. Nato all’estero alcuni anni fa, dopo un primo tentativo nel 2006, in Italia è arrivato nella primavera del 2012 ed è divenuto noto al grande pubblico pochi mesi dopo, grazie al lavoro in tempo reale di un team dell’università ‘Roma-Tor Vergata’ durante il dibattito tra “I Fantastici Cinque” candidati alle primarie del centrosinistra.
Un fenomeno in crescita. Secondo un rapido censimento presentato da Bill Adair, ispiratore di Politifact.com presso la Duke university (North Carolina, USA), esistono oggi al mondo 63 istituti e siti web che si occupano di fact-cheking. Di questi solo 45 risultano al momento attivi, ma ben 27 sono nati negli ultimi due anni, a testimonianza di un fenomeno in grande sviluppo. I siti sono diffusi in tutti i continenti, anche se la maggioranza è in Europa e negli Stati Uniti. Circa la metà sono emanazione dei (grandi) media, mentre gli altri appartengono ad università o a istituti di ricerca indipendenti. «Il fact-cheking è importante quanto il giornalismo d’inchiesta – ha spiegato Adair – però richiede tempo, costa molto e nessuno vuole farlo gratis, dato che gli editori tendono a finanziarlo solo durante le campagne elettorali. Eppure i politici non smettono affatto di mentire quando governano, anzi».
Rating si o no? Stipendio a parte, un parametro utile per distinguere i vari siti può essere l’assegnazione o meno di un rating ai politici, così da distinguere i bugiardi seriali da chi incappa in una gaffe. Di questo strumento ne avvale, e molto, Politifact.com, che vi ha sottoposto (con risultati non troppo incoraggianti) perfino alcuni suoi finanziatori. Utilizza un rating – ma quasi sempre assegna quello intermedio “50 e 50” – anche Factcheck.eu, fondato da un gruppo di ragazzi italiani (già promotori in patria di pagellapolitica.it, che da alcune settimane ha una “rubrica” fissa all’interno del talk show Virus, su Raidue) per seguire in modo specifico le imminenti elezioni europee. «Abbiamo scelto di realizzare un sito in sei lingue per non limitare il dibattito alla consueta comunità anglofona che frequenta Bruxelles – ha raccontato il co-fondatore Pietro Curatolo – Stiamo seguendo molte cose, tra cui tutti i dibattiti pubblici tra i quattro candidati principali alla presidenza della Commissione europea. E’ molto impegnativo, per questo ci avvaliamo anche del crowdsourcing: tutti possono registrarsi al sito e segnalarci di cosa vorrebbero che ci occupassimo, oppure proporre una loro analisi, che noi controlliamo. Ovviamente ciò comporta il rischio di pubblicare interventi di “tifosi”, ma normalmente sono gli stessi utenti più attivi ad allontanarli e ciò è molto positivo: stiamo creando una vera comunità».
L’esperienza anglosassone. Non usano il rating, invece, gli inglesi di Fullfact.org, sito diretto da Will Moy: «Non è nella mentalità britannica dare pagelle di questo tipo – ha spiegato – Anche perché tra il “completamente vero” ed il “completamente falso” ci sono moltissime zone grigie, che renderebbero difficoltoso dare un punteggio complessivo: meglio allora concentrarsi sulle singole dichiarazioni, senza generalizzare. Siamo molto attivi nel fact-cheking in tempo reale, che è una cosa molto impegnativa, perché cerchiamo non solo di “smascherare” i politici, ma di “costringerli” a rettificare le loro dichiarazioni”.
Su una posizione di compromesso si trova invece l’interessante sito sudafricano Africacheck.org, che inserisce il proprio rating nel titolo dei singoli lanci per ottenere maggiore visibilità sul web. Il sito lavora molto con radio e tv del proprio paese ed è diretto dal veterano Peter Cunliffe-Jones: «Al momento facciamo verifiche solo in patria – ha raccontato – anche perché mercoledì prossimo ci saranno le elezioni, ma subito dopo vogliamo aprirci a Nigeria, Kenia e Senegal (in francese). Il nostro progetto non è però quello di coprire da soli un continente di un miliardo di persone: al contrario, vogliamo insegnare a fare fact-cheking ai nostri colleghi del resto dell’Africa”.
Alessandro Testa