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Come si informano i giovani tra vecchi e nuovi media.

di Raffaele Sardella03 Maggio 2014
03 Maggio 2014

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La Tv non è ancora morta. Nel dibattito che il Festival del Giornalismo di Perugia dedica alla dieta mediatica degli under trenta, il dirigente del Censis Massimilino Valerii dimostra, dati alla mano, come radio e televisione resistano e si integrino bene con i new media. Tra il 2001 e il 2013, si è assistito ad un vero e proprio bum delle radio, il cui pubblico è cresciuto di circa il 15%. Il merito è della diffusione, specialmente tra i più giovani, degli smartphones predisposti per l’ascolto radiofonico. Anche la televisione tiene bene: nonostante l’ascesa del web, la Tv continua ad essere il canale principale attraverso cui gli italiani si informano. Merito anche delle nuove tecnologie digitali, grazie alle quali il pubblico può ricevere un offerta “on demand”, costruendosi un palinsesto su misura.

La stampa perde terreno. Solo un giovane su cinque dichiara di leggere quotidiani su carta. Il press divide giovanile, ossia il divario che li separa da chi si informa attraverso la stampa, è in aumento: nel 2013 la percentuale di ragazzi che non legge – o non ha mai letto – libri, riviste e giornali è salita al 55,5%. La crisi dei giornali è stata particolarmente dolorosa per la free press, come testimonia il direttore di Metro Giampaolo Roidi. Tra il 2010 e il 2011 i giornali gratuiti hanno subito un vero e proprio crollo degli investimenti pubblicitari, con un calo di oltre il 40% dei ricavi. Per Roidi buona parte delle responsabilità della crisi della stampa sono da imputare agli stessi operatori dell’informazione: “c’è un ritardo clamoroso nel provare ad assimilare format e linguaggi nuovi. I grandi giornali organizzano ancora le notizie secondo gerarchie vecchie di 20 anni”.

Utenti Prosumer e gerarchia delle fonti. Aumentano, grazie al web e ai social network, i contenuti generati direttamente dagli utenti (forum, blog, e-book in self-publishing, siti di citizen journalism, filmati in video sharing etc. etc.). In questo genere di prodotti è sempre più esibita la propria biografia, il proprio “se digitale”; si è appunto coniato il termine “biomediatica” per indicare questo tipo di contenuti autoprodotti, nei quali si riscontra molto spesso il primato del soggetto. L’ultimo aspetto particolarmente interessante sull’accesso dei giovani all’informazione sul web è introdotto da Andrea Scanzi, che parla della rivoluzione della gerarchia delle fonti. Il giornalista sottolinea come gli utenti del web possano selezionare le fonti attraverso cui informarsi, creando una sorta di playlist. Se da una parte tutto ciò mette a rischio le garanzie e la qualità dell’informazione, dall’altra rende maggiormente fruibile quello che prima era di nicchia e difficilmente reperibile: “prima di internet” – dice Scanzi – “la ricerca di cosintroinformazione era molto più complicata”.

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