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Il “sultano di Ankara” resiste agli scandali. Il partito di Erdogan trionfa alle amministrative

di Raffaele Sardella31 Marzo 2014
31 Marzo 2014

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Nonostante una serie di scandali che lo hanno colpito da vicino, non ultima la conversazione telefonica in cui parla di come “fare sparire” milioni di euro tenuti in casa, il premier turco Erdogan rimane sulla cresta dell’onda. L’Akp di Erdogan perde solo tre punti percentuali rispetto alle politiche del 2011, attestandosi ad un 46% che conferma lo strapotere del partito conservatore islamico al governo dal 2002. Il secondo partito, il Chp del socialdemocratico Kemal Kilicdaroglu (aveva ribattezzato Erdogan il “dittatore”) è fermo al 28%. Seguono i Lupi grigi del partito nazionalista Mhp, al 15%, ed i curdi del Mdp, al 5%.
Una sconfitta, aveva scritto l’analista Barcin Yinancavrebbe, avrebbe potuto avviare “un processo che poteva perfino farlo finire in carcere”. Erdogan riesce invece a spuntarla e annuncia vendetta contro i suoi oppositori: “C’è chi cercherà di scappare domani” ha affermato a migliaia di sostenitori davanti alla sede del Akp a Ankara: “ma pagheranno per quello che hanno fatto”. Il sultano del Bosforo riduce le accuse che lo riguardano ad una sorta di complotto ed interpreta la democrazia con il solito piglio islamico e muscolare, dopo una campagna elettorale che ha fatto leva più sulle minacce che sulle promesse.
Lo scorso 21 marzo Erdogan aveva annunciato di “voler spazzar via Twitter” ed ottenuto l’oscuramento, per alcuni giorni, del social network. Il web ha contribuito molto ad amplificare gli scandali che coinvolgono il governo turco, non solo attraverso pubblicazione di numerose intercettazioni telefoniche, ma anche offrendo spazi di dibattito ai cittadini. Lo scorso 27 marzo, la pubblicazione di un colloquio sulla Siria tra il capo dell’intelligence turca Hakan Fidan, il ministro degli Esteri Ahmet Davutoğlu e il vicecapo delle Forze armate Yasar Guler, ha messo a repentaglio anche la sopravvivenza di You Tube in Turchia.
I social network sono la spina nel fianco di Erdogan da quando, con le proteste di Gezi Park e la dura repressione di giugno, hanno fornito il legante per un fronte di dissenso che si è esteso fino all’interno dell’Akp.

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