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Addio a Gerardo D’Ambrosio, protagonista del pool Mani Pulite

di Anna Bigano31 Marzo 2014
31 Marzo 2014

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Si è spento ieri pomeriggio al Policlinico di Milano il magistrato Gerardo D’Ambrosio. 83 anni, casertano di Santa Maria a Vico, D’Ambrosio trascorse però gran parte della sua vita professionale nel capoluogo lombardo, dove ricoprì anche, dal 1999 al 2002, il ruolo di procuratore capo. Dal palazzo di giustizia di Milano fu protagonista di molte delle più importanti vicende giudiziarie della storia italiana.

Le grandi inchieste. Il nome di Gerardo D’Ambrosio è legato, fra l’altro, alle indagini successive alla strage di piazza Fontana. Fu lui, ad esempio, a escludere il coinvolgimento del commissario Luigi Calabresi nella morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli: una decisione controversa che – lo ricordò lui stesso – gli costò l’accusa di “fascismo” da parte dell’opinione pubblica di sinistra, mentre per il rinvio a giudizio di Franco Freda e Giovanni Ventura fu tacciato, al contrario, di “socialismo”. Negli anni ’80 D’Ambrosio si occupò delle istruttorie sugli illeciti del Banco Ambrosiano, in cui fu coinvolto anche il banchiere Roberto Calvi. Dal 1992 guidò poi il gruppo di magistrati composto da Francesco Saverio Borrelli, Gherardo Colombo, Antonio Di Pietro e Piercamillo Davigo nell’inchiesta relativa a Tangentopoli.

L’esperienza politica. Congedatosi nel 2002 dalla magistratura per sopraggiunti limiti d’età, D’Ambrosio accettò la proposta di candidarsi per il Senato nel 2006 e nel 2008, prima con i Ds, poi con il Pd ed entrò nella commissione Giustizia. L’esperienza da parlamentare, tuttavia, non fu per nulla soddisfacente: «Non ebbe mai la possibilità di esprimere la propria voce e di incidere profondamente – commenta l’amico e collega Gherardo Colombo in un’intervista sul Corriere della Sera di oggi – rimase una sorta di corpo estraneo». Le sue convinzioni politiche, mai dissimulate, anche prima dell’elezione a senatore le critiche degli avversari, che tuttavia mai negarono la sua onestà intellettuale, né il suo profondo senso dello Stato.

Il cordoglio di colleghi e istituzioni. I magistrati milanesi, per voce del procuratore capo Edmondo Bruti Liberati, ricordano con «immenso rimpianto le straordinarie qualità professionali e umane», mentre Antonio Di Pietro affida a un tweet il suo saluto: «Ciao Gerardo, meno male che c’eri tu ai tempi di ‘Mani pulite’». «La sua probità, il profilo asciutto e rigoroso, lo scrupolo da magistrato e da esponente delle istituzioni parlamentari sono una lezione quotidiana», scrive il premier Matteo Renzi in una nota. «Un amico, un grande uomo e uno dei simboli della Magistratura italiana. Un uomo cui la vita aveva concesso una seconda chance e che aveva saputo sfruttarla a beneficio della collettività», lo definisce invece il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, riferendosi al trapianto di cuore subito da D’Ambrosio nel 1991. Un’operazione delicatissima che non gli impedì di coordinare negli anni immediatamente successivi le indagini che portarono alla dissoluzione della Prima Repubblica.

Anna Bigano

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