Al Consiglio dei ministri, con il voto all’unanimita’, è partita ufficialmente la nuova, e piu’ discussa, riforma dell’era Renzi, quella del Senato, con in aggiunta quelle del Titolo V della Costituzione e del Cnel, organo costituzionalmente rilevante di cui si chiede, senza ulteriori indugi, l’abolizione. L’Assemblea di Palazzo Madama aggiungera’ al suo nome la specificazione ‘delle Autonomie’.
Il nuovo Senato verrà composto dai presidenti delle giunte regionali e delle Province autonome di Trento e Bolzano, dai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione e di Provincia autonoma, nonche’, per ciascuna Regione, da due membri eletti dal Consiglio regionale tra i propri componenti e da due sindaci eletti da un collegio elettorale costituito dai sindaci della Regione. Complesso, ma rappresentativo – per l’appunto – delle istituzioni territoriali della Repubblica. Subito dopo il varo del progetto. Renzi tiene una conferenza stampa, poi si fa intervistare da una televisione. Promette un miliardo di risparmio sui costi della politica; liquida gli oppositori (interni ed esterni al Pd) come una minoranza che tale restera’; avverte infine che, se e’ vero che lui non minaccia nessuno con l’ipotesi di un voto anticipato, o si fa come dice lui o lui se ne va. Con tutte le conseguenze del caso. “Credo che ce la faremo, questa e’ la sfida non del governo ma di quella parte d’Italia che non si rassegna. Questa e’ la volta buona davvero”.
Lo dice Matteo Renzi al termine del Cdm che ha approvato il ddl costituzionale. “Ce la faremo”, aggiunge il premier riferendosi al piano di abolizione del Senato. Chi blocca il cambiamento? “Vedremo alla fine della votazione. Blocca il cambiamento chi dopo 30 anni di discussioni sul bicameralismo perfetto dice che ben altro e’ il problema”. Lo dice Matteo Renzi. “Io rispetto le opinioni, ma il nostro dovere e’ di decidere, il tentativo di rinviare e non decidere e’ quello di bloccare il cambiamento. I nomi e i cognomi di chi vuole bloccare il cambiamento saranno in minoranza”, osserva il presidente del Consiglio.
Intanto ottiene che il ministro Stefania Giannini, fino alla mattina perplessa su tanta fretta innovatrice, voti insieme agli altri membri del gabinetto. E sulla scia dell’entusiasmo da’, implacabile, del “Premio Nobel mancato” a Renato Brunetta che lo critica sulle coperture e, soprattutto, riprende la polemica con il presidente del Senato Piero Grasso.
“Non si era mai visto un presidente del Senato intervenire su un provvedimento in itinere. Se e’ intervenuto come presidente del Senato ha commesso un errore nella forma e nella sostanza, se come esponente del Pd, gli ha risposto Deborah Serracchiani, richiamandolo all’ordine”. Grande euforia, quella del presidente del Consiglio. Anche se, dal quartier generale di Forza Italia gli arriva un “reminder” firmato Silvio Berlusconi. Il quale sottolinea: Renzi sia coerente, con noi ha stretto un patto. Poi avverte: non vogliamo pacchetti di riforme preconfezionate. Infine richiede: prima di qualsiasi altra riforma, il varo dell’Italicum.
Il premier Matteo Renzi quindi vira deciso sulla riforma costituzionale per superare il bicameralismo perfetto e trasformare il Senato elettivo in una camera delle autonomie composta da 148 sindaci senza doppio stipendio. Il presidente del Consiglio ha risposto al presidente del Senato Pietro Grasso, che ieri aveva definito “un rischio per la democrazia” la proposta della quale Renzi ha promesso la realizzazione sin dal primo giorno dell’incarico.
“Non mollo di mezzo centimetro – aveva dichiarato in mattinata il premier, aggiungendo che – o si fa questa cosa o non ha senso che gente come me stia al governo. Su questi temi ci giochiamo la faccia e tutto il resto, è una questione di dignità verso le persone che si alzano la mattina presto. Se non ci riesco, mollo tutto”.
Renzi ha definito “un avvertimento” le parole di Grasso, che aveva anche rafforzato il suo pensiero sottolineando la mancanza di numeri per approvare una riforma che, di fatto, spingerebbe i senatori a rassegnare in massa le dimissioni. La critica di Renzi alle parole del presidente del senato è feroce: “Se Pera o Schifani avessero fatto così, oggi avremmo i girotondi della sinistra contro il ruolo non più imparziale del presidente del Senato. Io dico al presidente Grasso: non si preoccupi se non ci sono i voti. Lo vedremo in Parlamento.” Il problema dell’imparzialità dei ruoli istituzionali sembra non avere fine da quando, da Gianfranco Fini in poi, passando per il Senato di Grasso e la stessa Camera di Laura Boldrini, i presidenti delle due camere hanno iniziato negli anni recenti ad esprimere opinioni e a schierarsi pubblicamente.
Molte le reazioni nel mondo politico,. Matteo Salvini della Lega dichiara di aver approvato un’abolizione del Senato già otto anni fa. Lucio Malan, senatore di Forza Italia, ha sostenuto ieri sera ad Agorà di non essere pienamente convinto sulla creazione di un Senato non elettivo. A prendere le difese di Renzi, soprattutto nella polemica con il presidente del Senato, è Federico Gelli del PD: “Non si è mai vista una posizione così particolare come quella di Grasso. Il presidente del Senato non dovrebbe avere il ruolo di presentare una riforma di un ramo del Parlamento che egli rappresenta. Anomala la sua uscita”.
Stelio Fergola
Agi