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Un pezzo di Roma che se ne va. Una raccolta di firme per salvarlo

di Samantha De Martin12 Marzo 2014
12 Marzo 2014
foto di Corinna Spirito

foto di Corinna Spirito

Seduti ai tavolini del Caffè della Pace alcuni clienti scrivono al computer bevendo caffè, qualcuno legge, qualcun altro si gode il sole particolarmente piacevole in questo storico salotto della dolce vita romana, bottega storica della Capitale e locale storico d’Italia, che ha soddisfatto, a colpi di cornetti e cappuccini, i palati del cinema, della cultura, della musica, più famosi al mondo.
Un ritrovo di artisti In questo cantuccio che fa capolino su via della Pace, occhieggiando alla vicina piazza Navona,  sotto gli ombrelloni bianchi e sotto l’egida del Chiostro del Bramante, tra i tavolini che si affacciano sul lento passeggio dei turisti, si avvicendano, a partire dal Settecento, intellettuali e artisti, dando lustro a un nome che rappresenta una pietra miliare della tradizione romana. Da Ungaretti a Monicelli, da Fellini a Woody Allen (che proprio al Caffè della Pace affida la prima scena con un brillante Alec Baldwin in uno dei suoi ultimi film, “To Rome with love”), il romantico Caffè della Roma monumentale svetta in alcune incisioni del Piranesi che ne documenta l’ esistenza a partire dal 1791, nonostante il locale, come lo vediamo oggi, risalga al secolo successivo.
Un ritrovo di tutti “Anche Papa Giovanni Paolo II venne a fare colazione qui da noi” ricorda Daniela Ripanti- Serafini, da 60 anni titolare del Caffè della Pace, mentre sfoglia con occhi lucidi i celebri volti che si sono susseguiti negli annali di quel locale a cui è tanto legata. “Da una vita gestiamo con orgoglio questo luogo di ritrovo, un bar di tutti, e non, come qualcuno insinua, parterre privilegiato di una nicchia di vip e di volti blasonati”.
È di casa Daniela Serafini in questo raffinato stralcio di Roma nel cuore di Ponte, il quartiere in cui è nata e in cui ha investito la sua vita, tra clienti affezionati, amici, turisti che hanno fatto di questo luogo di ritrovo la bussola privilegiata dei loro appuntamenti e di piacevoli chiacchierate.
I clienti affezionati Ines Torlonia, principessa, è un’habitué del posto. Tuta grigia, scarpe da tennis e cappellino con visiera, saluta la signora Daniela con l’affetto di chi qui è di casa. “Se ci tolgono il bar della Pace è come se ci togliessero la Chiesa di Santa Maria della Pace o il Chiostro del Bramante – dichiara dispiaciuta alla notizia dell’imminente chiusura. “Marina Ripa di Meana ed io siamo disposte a incatenarci qui davanti se questo storico luogo dovesse realmente chiudere” promette la signora Ines che vive tra New York e Roma.
“Tutti conoscono il Caffè della Pace, non serve specificarne l’indirizzo – dice Stefania, un’altra frequentatrice del bar, mentre siede al tavolo del Caffè. “Se chiude questo posto sono pronta a lasciare Roma” annuncia agguerrita. Anche Pino, attore, si dice molto rammaricato davanti al rischio di far scomparire un posto del genere dalle guide della Capitale.
Mentre un gruppo di giovani stranieri sorseggia un fumante cappuccino, incuriosito dal cartello “Un Caffè senza pace” che denuncia lo sfratto esecutivo imposto dal giudice, la sorte di uno dei ritrovi più famosi di Roma si tesse tra il via vai di turisti, la solidarietà dei politici e gli auspici dei clienti affezionati. Chissà che questo pezzo di Roma non venga salvato per continuare a racchiudere, nel suo raffinato salotto,i pensieri e i ricordi degli artisti di sempre.

Samantha De Martin

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