L’ultimo aggiornamento dell’Anagrafe degli studenti universitari, condotto dal ministero dell’Istruzione, certifica la prolungata contrazione delle iscrizioni negli atenei italiani .
Numeri in costante diminuzione: da circa le 390mila immatricolazioni del 2003/2004 si passa alle 260mila iscrizioni all’attuale anno accademico. Cresce il numero di coloro che scelgono indirizzi scientifici (dal 28,74% al 35,23%), rimane essenzialmente invariata la preferenza per le facoltà umanistiche (dieci anni fa il 19,69%, oggi il 18,93%), calano le matricole dell’area sanitaria (dal 11,67% al 10,76) mentre crollano le preferenze per l’area sociale (dal circa il 40% al 35%). Una delle ragioni alla base di questa preoccupante tendenza che allontana i giovani dalla cultura, la preparazione e la ricerca, è da ricondursi all’introduzione dei corsi regolati dal numero programmato: il 57% sul totale nazionale. Tendenza che cresce al pari dei soggetti privati che subentrano nella gestione degli atenei.
Sembra assai lontano l’obiettivo, posto in sede europea, di un’Italia con il 40% di laureati. Obiettivo stabilito per il 2020 in sede europea. Nella giornata di ieri dalla Crui (conferenza dei rettori delle università italiane) giunge un documento in cui i governatori degli atenei si rivolgono Matteo Renzi. Nel documento emerge chiaramente la denuncia per la perdita, negli ultimi cinque anni, di oltre 10mila ricercatori del sistema universitario. Un giovane su quattro ha difficoltà d’accesso allo studio e va arenandosi la formazione nel mondo del lavoro. Dunque viene a mancare il rapporto fondamentale per lo sviluppo del paese, cioè quello fra università e imprese. Si rende inoltre necessaria e improrogabile la semplificazione burocratica dell’intero sistema in virtù di una maggiore libertà organizzativa e progettuale dei corsi universitari.
Emanuele Bianchi