È un tema tabù, che da sempre suscita diffidenza in docenti e presidi, perché vissuto come un’oscura minaccia. Eppure, quella della valutazione scolastica è un’urgenza che l’Italia non può più permettersi di ignorare, se vuole che la sua scuola pubblica continui a vivere, anziché sopravvivere soltanto. Della questione si è discusso ieri sera a Roma, presso la sede della casa editrice Laterza in via Villa Sacchetti 17, dove è stato presentato il volume (in libreria da oggi), La valutazione della scuola. A che cosa serve e perché è necessaria all’Italia, risultato della ricerca annuale promossa dalla Fondazione Giovanni Agnelli. Ad animare il dibattito, il direttore della Fondazione, Andrea Gavosto, insieme a tre ex ministri della Pubblica Istruzione, Luigi Berlinguer, Mariastella Gelmini e Francesco Profumo.
Obiettivo: evidenziare le criticità. Il concetto base è semplice: verificare quali meccanismi non funzionano e individuare i punti deboli dei singoli istituti è essenziale per migliorare il servizio offerto alle famiglie, che altrimenti finiranno – almeno le più abbienti – per emigrare in massa verso le scuole private. Il rischio, insomma, è quello di ghettizzare ulteriormente i ragazzi appartenenti alle fasce più deboli, che già ottengono nei test OCSE-PISA risultati peggiori non solo a quelli dei coetanei europei, ma anche degli stessi compagni di classe. Un fallimento che non riguarderebbe solo la scuola, ma l’intera società.
I tentativi fatti finora. In Italia, qui sta il vero problema, mancano dei criteri univoci e globali di valutazione, che non coinvolgano i singoli professori (ed è questo fraintendimento, in genere, a spaventare di più i docenti), ma prendano in considerazione parametri diversi, fra cui l’idoneità delle strutture, i metodi d’insegnamento, i risultati degli studenti. Un tentativo in questo senso è rappresentato dai test Invalsi, “somministrati” – verbo tecnico, per carità, che però li fa passare per una medicina amara – all’esame di terza media per valutare il livello in italiano, matematica e inglese. La strada da percorrere, tuttavia, è ancora lunga: prima di tutto perché l’Invalsi dipende dal Ministero dell’Università e della Ricerca, e poi per la perdita di significato dell’esame stesso, che non segna più nemmeno il termine dell’obbligo scolastico, ormai esteso fino ai 16 anni.
Le proposte della Fondazione Agnelli. Ecco perché, fra i suggerimenti avanzati dalla Fondazione, c’è quello di rendere la valutazione più equa sganciando l’Istituto di Valutazione dal ministero di cui dovrebbe giudicare i risultati e quello di abolire l’esame di terza media, introducendo invece procedure di verifica standard per tutti, al termine dell’obbligo scolastico e alla maturità. Niente premi in denaro per le scuole virtuose (che, si è visto all’estero, incentivano gli insegnanti a barare sui voti dei propri studenti), ma margini più ampi di autonomia e la possibilità per i dirigenti di assumere direttamente i professori. Il tutto dovrebbe avvenire secondo criteri di trasparenza e in tempi brevi: rispetto agli altri Paesi europei, il nostro è già in ritardo.
Anna Bigano