Tra la Direzione nazionale antimafia e la procura di Palermo è scontro sul processo che cerca di dimostrare la trattativa tra lo Stato e Cosa nostra. La causa sta tutta nella relazione annuale della Dna, redatta da Maurizio De Lucia, procuratore aggiunto e oggi consigliere dell’organo. Il documento indica una serie di preoccupazioni in relazione all’inchiesta sul “patto scellerato” che sarebbe avvenuto dopo la fase stragista dei primi anni ‘90 tra organi dello Stato e la criminalità organizzata.
“Questioni giuridiche”. Il pool di magistrati attualmente impegnati nel processo, che vede imputati mafiosi, politici e alti funzionari dello Stato, contesta il reato di “violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario”. L’individuazione di questa particolare fattispecie criminosa in questa inchiesta, secondo la relazione, pone “nuovi problemi di natura giuridica e fattuale al giudice che dovrà decidere sulla corretta ricostruzione dei fatti”.
Le assoluzioni di Mori e Obinu. De Lucia cita anche le motivazioni che hanno portato all’assoluzione del prefetto Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu. I due dirigenti del Ros erano indagati per la mancata cattura di Bernardo Provenzano del 1995 (il capomafia sarà poi arrestato undici anni dopo), ma il Tribunale di Palermo non accolse le richieste dei pm (rispettivamente 9 e 6 anni e mezzo di reclusione) in quanto ritenne che non era provato il dolo e che si era trattato di una – pur discutibile – strategia. La relazione parla quindi di importanti elementi di collegamento tra questa sentenza, nella quale si definisce tra l’altro “ancora non dimostrato” il patto tra Stato e Cosa nostra, e il processo sulla trattativa – appunto – coordinato dall’aggiunto Vincenzo Teresi.
La replica. Proprio Teresi ha risposto in maniera particolarmente polemica alle osservazioni di De Lucia. “Fuori da ogni logica – ha dichiarato all’AdnKronos – che un semplice sostituto della Dna scriva contro un processo ancora in corso di cui non conosce neppure le carte”. Ancora più rigido il pm Roberto Di Matteo che ha parlato di “ennesima entrata a gamba tesa su un processo che dà fastidio a tutti”. Tuttavia il procuratore nazionale dell’Antimafia Franco Roberti ha voluto specificare che “non si tratta di una critica alle scelte dei colleghi”. L’inchiesta sulla trattativa era già stata al centro di polemiche a seguito delle intercettazioni indirette delle conversazioni tra Nicola Mancino e Giorgio Napolitano. Il presidente sollevò la questione alla Corte Costituzionale ottenendo una sentenza che ha dichiarato il divieto assoluto di intercettare il capo dello Stato.