Nel modenese, per le recenti scosse sismiche sono crollati numerosi capannoni industriali. Erano costruiti bene o erano costruiti male? Erano agibili o non lo erano? Gli operai erano stati costretti a tornare a lavoro o no? Sono domande lecite dal momento che il crollo di queste strutture ha provocato cinque vittime.
I capannoni, “scatole di scarpe”. In America queste strutture vengono chiamate “shoebox”, ossia scatole di scarpe, il ché non dà una grande idea di stabilità strutturale. «Sono edifici molto semplici formati da pochi pilastri e travi – spiega Bernardino Chiaia, professore di Scienza delle costruzioni al Politecnico di Torino – che riescono a resistere solo a sollecitazioni verticali mentre in caso di sollecitazioni orizzontali, come quelle provocate da un terremoto, possono venire giù come un castello di carte». È emblematico il titolo del Corriere della Sera:“I capannoni: pilastri e cerniere, non reggono”. Gli fanno eco alcune dichiarazioni come quella di Agostino Marioni, presidente dell’associazione di Ingegneria sismica italiana, il quale afferma che «si è progettato in maniera non intelligente». Anche l’ingegner Guido Cacciari è della stessa opinione: «Sono strutture costruite come i Lego. I vincoli tra travi e pilastri sono cerniere». Ripensare il modo di costruire è il nocciolo della questione, anche perché, sempre Cacciari, ribadisce il concetto che «l’unica sollecitazione orizzontale per cui sono calcolati è il vento» e questo non è ammissibile in una zona sismica.
Datori di lavoro sotto accusa. C’è poi la polemica sull’agibilità o meno dei capannoni. Fulcro della diatriba è il commento del segretario della Cgil Susanna Camusso: «Le nuove vittime del sisma che ha colpito l’Emilia sono lavoratori e questo mi fa pensare che non si è provveduto alla messa in sicurezza degli stabilimenti prima di far tornare le persone a lavoro».
Alle dichiarazioni di alcuni operai della Haemotronic di Medolla, i quali affermano che all’ingresso dell’azienda «c’era appeso il foglio dell’agibilità», ne seguono molte altre di natura diversa. Ad esempio il Manifesto riporta il dramma di una signora che confida al giornalista: «A mia figlia hanno detto: o torni a lavoro oggi o lo perdi». Molto simile è l’esperienza raccontata da un amico di Kumar Pawan, una delle vittime del crollo del capannone della meta di San Felice: «Il suo padrone aveva detto che era tutto a posto e gli ha chiesto di tornare a lavorare, ma era un capannone molto vecchio e pericoloso, aveva paura».
Dunque, è la sicurezza a essere messa sotto accusa, tanto da far intervenire anche il procuratore di Modena: «La politica industriale a livello nazionale sulla costruzione di questi fabbricati è una politica suicida ».
Paolo Costanzi