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Mafie social, le nuove sfide dei carabinieri: “Così scopriamo i cybercriminali”

di Flavia Falduto26 Febbraio 2025
26 Febbraio 2025
mafia social

“Esistono dei canali Telegram dove vengono creati gruppi di chat. Queste sessioni sono gestite da soggetti che consentono l’ingresso solo a determinate persone per effettuare una vera e propria attività di spaccio”. Così Pietro Garofalo, tenente della sezione cyber del nucleo investigativo dell’Arma dei Carabinieri di Roma, che a Lumsanews spiega le strategie adottate dalle forze dell’ordine per contrastare la mafia sul web e sui social.

Pietro Garofalo, tenente della sezione cyber del nucleo investigativo dell’Arma dei Carabinieri di Roma

Tenente Garofalo, quali sono gli strumenti che utilizzate per contrastare le attività illecite della criminalità organizzata online? 

“Nella sezione cyber dei carabinieri lavorano gli operatori IT (informatici, ndr) che si occupano di indagini telematiche e trattano materie finalizzate alla gestione dei software: copie forensi, le attività su software e hardware, ma anche indagini in generale. Nell’ultimo periodo, la criminalità organizzata si sta avvalendo di strumenti telematici per effettuare una grossa quantità di reati”. 

Quali reati vengono commessi?

“Le attività relative al traffico di sostanze stupefacenti e armi generano una grandissima quantità di denaro che poi viene riciclato. Le mafie, inoltre, usano le criptovalute – portafogli virtuali messi a disposizione su conti non facilissimi da tracciare – che si avvalgono di una chiave di cifratura conosciuta soltanto dai diretti interessati. In questo modo il web diventa come una ‘lavatrice’ per il denaro sporco”. 

C’è un filo rosso che lega le mafie agli attacchi cyber?

“Sicuramente c’è una sorta di collegamento. Deriva dal fatto che le mafie si sono evolute e si sono adeguate sempre di più al contesto sociale. I tradizionali strumenti di riciclaggio non bastano più, quindi si avvalgono anche del dark web per la ricerca di informazioni. Ecco perché esiste questo dossieraggio: vogliono assumere quella superiorità informativa che consente loro di avere un quadro completo di come funziona una società, di chi è il responsabile di una società in modo da costruirci sopra un profilo ad hoc per poterlo adescare ed eventualmente per poter distorcere quante più informazioni possibili”. 

Come si collega l’azione delle mafie sul web con la criminalità tradizionale?

“Alle mafie non interessano più gli omicidi o le estorsioni, ma il controllo dei soldi che devono poter riciclare. Il dark web e i canali social sono gli strumenti migliori per riciclare. Ad esempio, Telegram è una piattaforma di messaggistica criptata end to end: soltanto chi scrive e chi riceve ha la chiave di cifratura e può leggere il messaggio”. 

Come vi accorgete delle attività sospette?

“Noi possiamo accorgerci di questa attività di narcotraffico anche dal piccolo spacciatore al quale, durante una perquisizione o un’attività di polizia giudiziaria, sequestriamo il telefono. Così scopriamo l’esistenza di queste chat ed effettuiamo delle copie forensi che ci consentono di venire a conoscenza di un’attività di spaccio vera e propria”. 

Per non farsi scoprire, i criminali usano strumenti particolari?

“Una grossa fetta dell’attività di narcotraffico della criminalità organizzata si basa sull’uso dei criptofonini, che si appoggiano su server situati all’estero e quindi non sono intercettabili. Tutte le forze di polizia stanno cercando di trovare gli strumenti più idonei per poter bucare questi server”. 

Quali difficoltà incontrate durante il vostro lavoro?

“Finché questi reati restano circoscritti a livello nazionale hanno poca vita e poca durata. In campo europeo, inoltre, l’Arma dei Carabinieri e la Polizia di Stato collaborano, tra gli altri, con l’agenzia Eurojust. Un limite, invece, si presenta quando la capillarità che ricostruiamo a livello criminale va oltre. Quando serve una rogatoria internazionale iniziano a sorgere dei problemi burocratici. Da questo punto di vista, ci dovrebbe essere uno snellimento”.  

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