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MONTECASSINO/ Dresda, Mostar: quando la guerra uccide l’arte

di Renato Paone14 Febbraio 2014
14 Febbraio 2014

montecassino_bombardamentoNel 1944, con le macerie di Montecassino ancora fumanti, venne pubblicato La guerra contro l’arte, un atlante fotografico che raccoglieva le immagini dei principali monumenti italiani devastati dalla guerra: “Se è vero – si legge nell’introduzione – che il concetto di guerra porta con sé quello di distruzione e di lutto, non è meno vero che anche la bestialità umana deve avere certi limiti, imposti, non tanto dal dolore di chi ne patisce i danni, quanto dalla stessa coscienza di chi crede suo diritto di farli sopportare.”
Emblematico a tal proposito è il bombardamento dell’abbazia di Montecassino, con la distruzione di uno dei più importanti centri religiosi della storia cristiana, fondato da San Benedetto da Norcia nel 529 d.C e scrigno, tra l’altro, di affreschi di Luca Giordano, Sebastiano Conca, Charles Mellin e Francesco Solimena. Di questi, molto si è potuto apprendere grazie ai bozzetti che si sono salvati dal bombardamento alleato e che ora sono conservati presso il Museo abbaziale.

Analoga alla vicenda di Montecassino è stata la distruzione dalla città di Dresda condotto dalla Raf britannica e dalla Us Air Force statunitense. Lo storico Frederick Taylor ricorda: “La distruzione di Dresda ha un sapore epico e tragico. Era una città meravigliosa, simbolo dell’umanesimo barocco e di tutto ciò che c’era di più bello in Germania”. Goethe la definì “un luogo magnifico”, Herder la ribattezzò la “Firenze dell’Elba”, città con cui è gemellata dal 1978. Furono rasi al suolo edifici come la chiesa luterana di Frauenkirche, il teatro dell’opera Semperoper e il castello che fu residenza dei principi elettori di Sassonia. Le bombe distrussero anche la chiesa gotica Sophienkirche e il complesso barocco dello Zwinger, costruito dall’architetto Matthäus Daniel Pöppelmann e decorato dallo scultore Balthasar Permose. Nonostante le ricostruzioni effettuate, buona parte delle opere che costellava la città di Dresda è andato irrimediabilmente perduto.

Il più recente simbolo della miopia bellica è stato l’abbattimento, da parte delle forze croate, dello Stari Most, il Ponte Vecchio di Mostar, distrutto durante la guerra in Bosnia Erzegovina, nel 1993. Ultimato nel 1557 dall’architetto Hajrudin Mimar, discepolo di Sinan, il padre dell’architettura ottomana, e commissionato da Solimano il Magnifico, il ponte divenne, oltre che una delle più grandi opere architettoniche del suo tempo, simbolo della convivenza tra due diverse etnie e religioni. Fu proprio questo il motivo principale del suo abbattimento, filmato dal bosniaco Zaim Kajtaz. Operazione inutile però dal punto di vista strategico militare dato che il ponte era solo pedonale. Gli autori della distruzione sono stati giudicati dal Tribunale dell’Aia responsabili di un’impresa criminale, pari alla distruzione tedesca di Varsavia, e condannati dai dieci ai venticinque anni di carcere. Nel 2004 lo Stari Most è stato ricostruito ed è stato riconosciuto patrimonio mondiale dell’Umanità e posto sotto la tutela dell’Unesco.

La distruzione di opere d’arte dovuta a cause belliche è ancora oggi un tema molto importante. Nell’estate scorsa è stato forte l’allarme lanciato dall’Unesco per preservare il più possibile le zone archeologiche siriane coinvolte negli scontri che affliggono il paese, inserendole in una lista dei beni a rischio: la città vecchia di Aleppo e gli altri siti considerati Patrimonio dell’Umanità come la città vecchia di Damasco, quella di Bosra, il sito dell’antica città di Palmira, Krak des Chevaliers e Qal’at Salah El-Din.

Alfredo Barbacci, soprintendente ai Beni Culturali a Bologna durante l’ultima guerra e testimone dei bombardamenti aerei,  affermò con dispiacere, nel 1977, quanto fosse “incredibile la rapidità con la quale svaniscono i ricordi legati alle vicende belliche dei monumenti”. Proprio per questo l’intervento delle istituzioni e delle organizzazioni internazionali è fondamentale nella salvaguardia delle opere e dei monumenti  coinvolti in zone di guerra ed evitare così, diversamente dal passato, di perdere per sempre patrimoni artistici appartenenti all’umanità.

Renato Paone

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