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MONTECASSINO: Otto mesi di sangue nella valle contesa

di Alessandro Testa14 Febbraio 2014
14 Febbraio 2014

MONTECASSINODopo la resa in Tunisia, nel maggio del 1943, dei resti dell’Afrika Korps, gli Alleati decidono di proseguire l’attacco alla «fortezza Europa» da sud, sbarcando in Sicilia il 10 luglio. Constatata l’impossibilità di fermarli – come promesso – «sul bagnasciuga», tedeschi e italiani ripiegano ordinatamente combattendo, ma l’invasione del territorio nazionale è sufficiente per far implodere in pochi giorni il debole regime fascista, ormai screditato da tre anni di guerra sempre più fallimentari. Il 25 luglio Mussolini è deposto e fatto arrestare dal re, mentre le truppe alleate entrano a Palermo e proseguono verso Messina.

L’8 settembre 1943 – Le lunghissime trattative portate avanti da Vittorio Emanuele III e da Badoglio per ottenere uno sbarco alleato a nord di Roma ed una divisione paracadutista o aerotrasportata a protezione della Città Eterna e delle loro persone falliscono: gli Alleati non si fidano di loro ed impongono la resa incondizionata, che sarà firmata a Cassibile, in Sicilia, il 3 settembre. Lo stesso giorno l’VIII Armata britannica attraversa lo stretto di Messina ed inizia a risalire la Calabria. Nelle sei settimane precedenti, però, i tedeschi erano scesi in forze in Italia, ufficialmente «per dare manforte» all’alleato in difficoltà. Il re ed il suo governo militare, saputo che gli Alleati sarebbero sbarcati l’8 settembre a Salerno (gli americani) e a Taranto (gli inglesi), non danno istruzione alcuna ai tanti reparti militari sparsi in Italia e all’estero – che vengono a sapere della notizia dalla radio nel tardo pomeriggio – preoccupandosi unicamente della propria incolumità. Il 9 mattina il re, Badoglio ed il loro seguito fuggono da Roma lungo la via Tiburtina, l’unica consolare non controllata dalle SS del feldmaresciallo Kesserling, e, raggiunto il porto abruzzese di Ortona, si imbarcano sulla corvetta Baionetta, con cui raggiungono Brindisi, dove pongono la sede del governo provvisorio.

La linea Gustav – Nel frattempo gli Alleati consolidano le loro posizioni nell’Italia meridionale, anche se a costo di un grande spargimento di sangue: ad est i britannici si spostano a fatica lungo la stretta pianura costiera e raggiungono Termoli. Ad ovest, invece, lo sbarco di Salerno incontra molte difficoltà perché dalle colline circostanti i tedeschi bombardano efficacemente la testa di ponte. Più in generale, Kesserling predispone la resistenza invernale lungo la linea Gustav: una serie di fortificazioni estese lungo tutta l’Italia meridionale, dalla foce del Sangro sull’Adriatico, fino a quella del Garigliano sul Tirreno. Il fronte di battaglia principale sarà nella valle dei suoi affluenti Gari, Liri e Rapido: quest’ultimo viene sbarrato e fatto esondare per rendere paludoso il terreno. Perno dello schieramento difensivo nazista diventa Cassino, la cui secolare abbazia benedettina, dall’alto di una ripida collina, domina tutta la valle circostante e la via Casilina, una delle due sole strade asfaltate (l’altra è l’Appia, più a sud) che potrebbe consentire il transito di carri armati in direzione di Roma. Anziché fermarsi tradizionalmente per l’inverno, gli Alleati decidono di far pressione sui tedeschi anche nella cattiva stagione, ma pagheranno un prezzo altissimo e non otterranno risultati militari apprezzabili. A novembre l’VIII Armata britannica sfonda la linea Gustav ad est: attraversa il Sangro ed avanza di alcuni chilometri, ma dopo asprissimi combattimenti viene fermata ad Ortona, che viene semidistrutta dai bombardamenti. Ad ovest, invece, la V Armata americana, dopo aver superato alcune posizioni avanzate tedesche, sferra un attacco in forze il 12 gennaio.

Anzio e la prima battaglia di Cassino (gennaio 1944) – Il piano del generale inglese Harold Alexander, comandante in capo del fronte italiano, è molto complesso: impegnare i tedeschi a Cassino per distogliere le loro truppe dalle retrovie e favorire così uno sbarco ad Anzio il giorno 22, dalla cui testa di ponte altre truppe americane tenteranno poi di spingersi verso i Colli Albani a nord per tagliare i rifornimenti ai difensori della linea fortificata, costringendoli ad arrendersi o a fuggire. E’ palesemente un azzardo, legato al buon esito di troppi fattori, e per questo fallisce completamente, tanto nella valle del Gari/Rapido che ad Anzio. Pur sorpresi dalla località scelta per lo sbarco, infatti, i tedeschi si aspettavano da tempo questa mossa, e reagiscono prontamente: in poche ore movimentano le unità tenute appositamente di riserva e contemporaneamente fanno affluire rinforzi da nord, favoriti in questo anche dalla scelta attendista del generale Lucas, che anziché puntare subito su Roma attraverso i Colli Albani, preferisce consolidare meglio la sua testa di ponte. Il risultato è drammatico: ammassati in pochi chilometri quadrati, e chiusi da ogni lato dalle colline, gli angloamericani di Anzio e Nettuno vengono ripetutamente bombardati dai tedeschi – perfino con il cannone gigante Annie Express, custodito nella galleria ferroviaria di Ciampino – e per diversi giorni rischiano addirittura di dover abbandonare le posizioni e riprendere il mare.

 La seconda battaglia: la distruzione dell’abbazia (15 febbraio) – A Cassino, intanto, il comandante tedesco Julius Schlegel aveva assicurato all’anziano abate Gregorio Diamare che i suoi uomini, attestati lungo i fianchi dell’aspra collina, non sarebbero entrati nell’abbazia per non trasformarla in un obiettivo militare ed esporla così al fuoco nemico. Schlegel si era assicurato la fiducia dell’anziano monaco pochi mesi prima, provvedendo ad evacuare con successo verso Roma i capolavori artistici dell’abbazia e quelli che vi erano stati nascosti provvisoriamente dopo l’8 settembre, tra cui il ricchissimo tesoro di San Gennaro.

Dal punto di vista militare, data la situazione di stallo, gli Alleati decidono di tentare nuovamente la spallata nella zona di Cassino, e vi inviano alcune unità tolte al fronte adriatico, ormai stabilizzato. A metà febbraio, fallito l’attacco precedente, il comando delle operazioni passa al generale neozelandese Bernard Freyberg, che – convinto che i tedeschi vi avessero stabilito il loro quartier generale – ottiene l’autorizzazione a distruggere completamente Montecassino.

La mattina del 15 i suoi bombardieri strategici radono al suolo la storica abbazia e uccidono circa duecento civili che vi si erano rifugiati durante la prima battaglia, oltre a numerosi soldati tedeschi che la pattugliavano all’esterno e a quaranta soldati indiani che non avevano fatto in tempo a ritirarsi. La distruzione di Montecassino si rivela rapidamente un completo disastro per gli Alleati: oltre all’enorme danno di immagine, infatti, costituisce un clamoroso boomerang anche dal punto di vista militare, dal momento che, non sentendosi più vincolati al rispetto di un luogo sacro, i tedeschi sopravvissuti occupano rapidamente le rovine. Pur improvvisate, quelle posizioni costituiscono un riparo eccellente, da cui i difensori falcidiano ripetutamente i vari reparti britannici – soprattutto coloniali – mandati a più riprese all’attacco dai loro superiori.

 La terza battaglia: la città viene distrutta (15 marzo) – Né miglior sorte, esattamente un mese più tardi, ottiene la terza battaglia di Cassino, iniziata con un nuovo bombardamento a tappeto che distrugge ciò che rimaneva dell’antica città, oltre a Venafro (scambiata per Cassino da alcuni piloti inesperti) e a varie postazioni militari di ambo le parti. Anche questa volta, pur ridotti ormai a metà degli effettivi, i tedeschi colgono l’occasione di sfruttare le rovine per attuare tecniche di guerriglia urbana, infliggendo pesanti perdite agli attaccanti e costringendoli alla fine a ritirarsi dalle poche posizioni raggiunte.

La quarta battaglia: l’aggiramento e la fuga dei tedeschi (maggio) – Solo a metà maggio, con il ritorno della bella stagione e l’afflusso di ulteriori rinforzi dal fronte adriatico, ormai abbandonato al semplice mantenimento dello status quo, le truppe marocchine del corpo di spedizione francese riescono a sfondare la linea Gustav più a sud, occupando il Monte Maio ed aprendo la strada al resto dello schieramento alleato verso i monti Aurunci e la valle del Liri. Come previsto fin dall’inizio dal generale Alexander, dopo una settimana di intensi e sanguinosissimi combattimenti in pianura, i tedeschi sono costretti a ripiegare in fretta verso nord per non correre il rischio di venire accerchiati: il 18 maggio l’onore di entrare per primi nei resti dell’abbazia di Montecassino viene concesso a ciò che restava del corpo d’armata polacco, decimato dai fallimentari attacchi predenti.

L’errore di Clark e la liberazione di Roma (giugno) – Mentre le truppe coloniali nordafricane, le vere artefici del successo alleato, si abbandonavano a due giorni di stupri e saccheggi in tutta la bassa Ciociaria, il generale americano Mark Clark, comandante della V armata, rinuncia sorprendentemente a dirigersi verso est per tagliare la strada ai tedeschi in ritirata lungo la Casilina, preferendo invece precipitarsi a nord per essere il primo ad entrare a Roma, dove arriva trionfalmente il 4 giugno. E’ un indiscusso successo propagandistico per sé ed i suoi uomini, ma è anche un errore strategico madornale: le truppe germaniche superstiti possono così mettersi in salvo e, insieme ad altre forze fresche di rinforzo, hanno il tempo di organizzare un nuovo sistema difensivo est-ovest sugli Appennini: la linea Gotica, estesa dalle Apuane fino a Rimini, che avrebbe resistito fino alla primavera successiva, riproponendo nelle valli tosco-emiliane le stesse distruzioni e lo stesso bagno di sangue già vissuto dall’Italia meridionale.

Alessandro Testa

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