HomeCultura MONTECASSINO: Omissioni, silenzi, paure e fallimenti. Ma Roma si salvò

MONTECASSINO: Omissioni, silenzi, paure e fallimenti. Ma Roma si salvò

di Nino Fazio14 Febbraio 2014
14 Febbraio 2014

MONTECASSINODai silenzi di Papa Pio XII, nei momenti precedenti e successivi al bombardamento dell’abbazia di Montecassino, al salvataggio del Tesoro di San Gennaro e del medagliere siracusano, una cassa contenente esemplari rarissimi di monete della Magna Grecia. A settant’anni dalla tragedia, ne parliamo con Gaetano De Angelis-Curtis, direttore della rivista “Studi Cassinati”.

Qual è la sua opinione sul silenzio di Papa Pio XII nei giorni seguenti al bombardamento dell’abbazia di Montecassino? Silenzio colpevole o necessario?
«Sicuramente le reazioni ufficiali della Santa Sede alla distruzione non si registrarono se non tardive e blande, ma non si può liquidare la condotta del pontefice con una semplicistica frase di sicuro effetto giornalistico. Bisogna fare riferimento al quadro degli avvenimenti del tempo e alle circostanze in cui maturò quel modo di agire. Il papa aveva i tedeschi quasi dentro casa e gli alleati in cielo. Una sua ferma presa di posizione e di condanna della distruzione di Montecassino avrebbe scatenato delle forti reazioni dall’una e dall’altra parte. Le circostanze obbligarono Pio XII a scegliere il silenzio, a “tacere” per salvaguardare, in qualunque modo, la popolazione».

 

Padre Gumpel, relatore della causa di beatificazione di Pio XII, intervistato dal giornalista Nando Tasciotti, affermò che “il Vaticano non aveva alcun elemento per pensare che gli Alleati avrebbero bombardato l’abbazia”. Perché, allora, il tesoro di San Gennaro fu trasferito di gran fretta a Roma con la collaborazione dei tedeschi? Le pare plausibile che i monaci, solerti a questa iniziativa, non abbiano avvertito il Papa del pericolo?
«Non solo il Vaticano ma anche le autorità statali italiane, e di riflesso la popolazione civile, erano convinte che Montecassino non avrebbe corso alcun pericolo così come tutta l’area compresa tra l’alta Campania e il Lazio meridionale. Lo dimostra il fatto che a Montecassino furono ricoverati tesori di valore inestimabile per proteggerli dai bombardamenti. Al contrario i comandi militari tedeschi erano ben coscienti dei pericoli che correva Montecassino, avendo incorporato la montagna su cui sorgeva il millenario monastero e la città ai suoi piedi nel sistema difensivo (la linea “Gustav”, ndr.) approntato per fermare l’avanza dell’esercito alleato. Dei pericoli che correva Montecassino fu ben presto conscio anche l’abate Diamare che inviò a Roma don Tommaso Leccisotti con l’incarico di avvertire e seguire la questione presso la Santa Sede. Nell’ottobre 1943 proposero all’abate di Montecassino, mons. Diamare, di mettere in salvo i beni di proprietà dei benedettini, quelli di proprietà statale e quelli depositati qualche mese prima a Montecassino. L’abate si convinse, considerato che nel corso di un mese i bombardamenti a Cassino avevano già distrutto i conventi delle suore di Carità, delle Stimmatine e la curia diocesana, e così fu approntato il piano di salvataggio di queste opere il cui trasferimento avvenne tra il 17 ottobre e il 3 novembre. Le cose private dell’abbazia, che nel viaggio erano scortate da monaci benedettini, raggiunsero Roma, collocate presso l’abbazia di S. Paolo fuori le mura o nel collegio di Sant’Anselmo. Invece i beni di proprietà statale, comprese le opere della Galleria Nazionale e del Museo archeologico di Napoli, furono depositate nel magazzino della riserva della Divisione “Hermann Göring” ubicato in una villa di campagna, dall’aspetto di castello che si trovava in una pineta nei pressi di Spoleto».

 

Dunque il tesoro di San Gennaro, che non apparteneva all’abbazia, com’è giunto a Roma?
«L’abate e i monaci temevano che i beni, in parte o in tutto, potessero essere sottratti dai tedeschi e inviati in Germania. Per questo i tedeschi non seppero mai della presenza del Tesoro di San Gennaro e del Medagliere siracusano che, a causa delle dimensioni ridotte, furono nascosti fra le cose private di Montecassino e così portate a Roma».

Se la neutralità del Papa era motivata da ragioni diplomatiche, poiché come sostiene Padre Gumpel qualunque dichiarazione avrebbe alterato delicati equilibri urtando la suscettibilità di una delle due parti in causa, come spiegare allora l’energico intervento in difesa di Roma? Montecassino era più “sacrificabile”?
«Non sembra plausibile l’esistenza in Vaticano di una scala gerarchica per cui un monastero, un’abbazia, una chiesa, una basilica, un sito fosse più “sacrificabile” rispetto ad altri. La distruzione di Montecassino dette però l’opportunità alla Santa Sede di poter agire energicamente in sede diplomatica in difesa di Roma, facendo pressioni sui governi alleati. Nel momento in cui Pio XII avesse addossato le responsabilità della distruzione all’uno o all’altro schieramento, in quale contesto si sarebbe trovata ad agire la diplomazia vaticana?»

Diplomazia vaticana che in occasione delle trattative per Montecassino fallì. È un’esagerazione?
«Tecnicamente e linguisticamente, certo, fu un fallimento della diplomazia vaticana che non riuscì ad evitare la distruzione del millenario cenobio. Tuttavia fallì perché si scontrò con l’ottusità militare e politica degli alleati. Nella mattinata del 15 febbraio 1944 la Segreteria Vaticana era intenta a trovare una via d’uscita per dirimere la questione della presenza di militari tedeschi all’interno dell’abbazia, come sostenevano gli alleati anche presso l’opinione pubblica mondiale, individuata nell’invio di un osservatore neutrale a Montecassino, ma oramai gli aerei erano già partiti e la distruzione aveva avuto inizio».

 

Pensa che un intervento diretto del Papa avrebbe potuto scongiurare il bombardamento?
«Il presidente americano Roosevelt aveva garantito a Pio XII il rispetto dei luoghi sacri e la neutralità dei possedimenti pontifici, i comandanti delle forze di terra alleate furono allertati a prestare la massima attenzione affinché nella campagna d’Italia fossero risparmiati, per quanto possibile, monumenti e opere d’arte religiose. Così non fu, a cominciare da Castel Gandolfo. Difficilmente un intervento diretto di Pio XII avrebbe potuto cambiare un destino che sembrava già segnato».

Antonino Fazio
Valerio Dardanelli

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